DUE ASPETTI CRITICI DELLA MEDIAZIONE

di Francesco Canevelli
Presidente SIMEF Psichiatra, Psicoterapeuta, Mediatore Familiare,ROMA
etaevolutiva@interfree.it




In questo mio intervento vorrei proporre alcune riflessioni su quelli che oggi ritengo siano degli aspetti critici della mediazione familiare. Volevo proporvi quindi almeno un paio di criticità attuali della mediazione familiare in caso di separazione e divorzio.
Quali sono queste criticità? Ne cito due perché ritengo che siano le due principali.
La prima è quella che riguarda la scarsa visibilità che tuttora ha la mediazione familiare nel nostro paese. È un problema importante, un problema avvertito da chi si forma, ma che continua ad essere avvertito anche da chi si è già formato e vive questa sorta di frustrazione molto particolare che non è tanto quella della scarsità dei casi, quanto quella della percezione dell’efficacia di un percorso unita alla poca penetrazione che questo messaggio, che questa efficacia che noi verifichiamo, ha poi nell’ambiente più circostante, negli addetti ai lavori, nei possibili utenti.
È facile liquidare, e sarebbe facile liquidare questo tema della scarsa visibilità attribuendolo semplicemente agli altri. Sono gli altri che non ci riconoscono. Il che, non è che non sia vero. È vero anche questo, è vero che in Italia c’è una cultura, non direi giuridica, perché la cultura giuridica italiana è particolarmente complessa e ben articolata, ma una cultura della prassi giudiziaria che è piuttosto restia alla piena considerazione di uno strumento, di un tipo di percorso, come quello della mediazione familiare. La maggior parte dei giudici, tuttora parecchi avvocati, percepiscono la mediazione come uno strumento o inutile o addirittura pericoloso, e ben pochi ne hanno percepito correttamente la funzione.
Voglio però che insieme riflettiamo su che cosa stiamo facendo noi, o su che cosa non stiamo facendo noi, o su che tipo di confusioni a volte noi stessi proponiamo per contribuire a determinare questa scarsa visibilità. Siamo tutti formati a un’ottica relazionale: se le cose non funzionano in una relazione bisogna esaminare entrambi i contraenti.
Allora esaminiamo per un attimo che cosa non funziona dalla nostra parte.
Io credo che ancora non funzioni molto bene, anzi funziona male, la sufficiente chiarezza di messaggio relativo a quali sono gli obiettivi, e cioè di che cosa si occupa la mediazione familiare in caso di separazione e divorzio; quale sia il suo eventuale e specifico ambito di intervento, perché questo è un elemento che a volte contribuisce ad alimentare le difficoltà di visibilità che abbiamo tuttora.
Provo a riflettere per un attimo insieme a voi su che cosa diciamo noi nel nostro parlare, quando parliamo di mediazione familiare, per vedere se i nostri argomenti coincidono, se si diversificano, cosa diciamo alla gente.
Allora noi molto spesso agganciamo la mediazione familiare al tema del conflitto, un collegamento che certamente è pertinente: la mediazione familiare fa parte delle grande casa comune delle mediazioni, per cui il tema di un percorso che agisce sul conflitto è un tema sicuramente coerente e pertinente, ma io credo che sia riduttivo e pericoloso agganciare la mediazione familiare in separazione e divorzio soltanto o soprattutto al tema della conflittualità per una serie di motivi.
Il primo è perché non è sempre così, non è vero che sempre il problema della separazione è il conflitto. I problemi delle separazioni sono problemi di dolori, di solitudini, di silenzi, che spesso sono l’aspetto principale che vivono poi anche i figli.
Centrare troppo il messaggio della mediazione sul conflitto, che è ciò che fa appartenere la mediazione familiare a tutto il resto delle mediazioni, come fosse anche questa una ADR, è un grosso errore e, a mio parere, anche un grosso pericolo di confusività rispetto a chi ci guarda e anche rispetto al nostro operare stesso.
Il conflitto può esserci, può non esserci, vedremo come non è detto che la mediazione sia per forza una tecnica di superamento del conflitto. Allora l’altro tema qual è: l’elaborazione dell’esperienza della separazione? Anche questo è un tema estremamente delicato da considerare per le sfaccettature, sia teoriche che di implicazione procedurale, che comporta.
Il problema dell’elaborazione della separazione è quello di un complesso compito di ricollocazione dell’altro, è un problema di ridefinizione di una interazione, di un legame che permane. Vedete quindi come già due elementi che io ho citato e che sono molto presenti nei messaggi che noi inviamo, quello del conflitto e quello dell’elaborazione dell’esperienza della separazione, cosa introducono di fatto come significati, come rappresentazioni sociali della mediazione.
Introducono il fatto che la mediazione sia uno strumento di cura della separazione patologica, e questo è molto presente nei nostri interlocutori, tant’è che spesso ci inviano i casi che considerano più “gravi”. Ma è presente nei nostri interlocutori forse perché è molto presente ancora in noi. Oppure può essere ancora molto presente in moltissimi settori della mediazione, dei mediatori italiani.
Dobbiamo chiarirci su questo, perché anche l’altro messaggio eccessivamente centrato sulla preoccupazione su cosa succede ai figli nella separazione introduce di nuovo l’attenzione alla preoccupazione per la separazione molto contigua a una definizione di problematicità eccessiva se non addirittura di patologia e di disfunzionalità.
Allora dobbiamo ancora interrogarci se la mediazione è un qualcosa che agisce per curare le separazioni disfunzionali, o è uno spazio offerto per la gestione dell’interdipendenza che sopravvive alla separazione. Ritengo infatti che questo sia il tema più pertinente. Il tema dell’interdipendenza che sopravvive alla separazione è il tema che tutte le coppie che si separano devono affrontare.
Che si separino bene o che si separino in maniera assolutamente disastrosa e distruttiva. Ma questo tema è presente in continuazione in tutte le coppie che voi possiate vedere in un’esperienza di separazione, a distanza di due giorni come a distanza di dieci anni dalla separazione, ed è per questo che la mediazione è un’offerta che non deve necessariamente andare bene per tutti, ma che comunque deve uscire dal ghetto della possibile idea della separazione patologica e disfunzionale, e andare a cogliere il punto dello spazio per gestire le relazioni familiari che sopravvivono, e sopravvivono, lo sappiamo in vari modi, sopravvivono con dolore.
L’idea dell’interdipendenza può essere vissuta in vari modi, e lo sappiamo bene, può essere vissuta come una iattura da chi risolverebbe il problema della separazione facendo finta che non c’è mai stata nessuna storia, può essere vissuta come un dramma distruttivo di annullamento della propria identità, come ci insegnano alcune persone che compiono gesti estremi in questi casi, per l’idea che se non c’è più l’altro non ci sono più nemmeno io.
Questi sono i due estremi in cui il problema dell’interdipendenza o è negato o è semplicemente vissuto come distruggente. Allora io credo che tra questi due estremi, che sono certamente estremamente patologici e disfunzionali, ci sia tutto il mondo delle separazioni a cui noi dobbiamo guardare per allargare la visibilità della proposta che stiamo facendo, ma perché siamo convinti non che sia un buon prodotto, ma che sia uno spazio che può essere utile a moltissime persone in qualunque momento della loro separazione.
Per alcune persone sarà molto utile all’inizio della separazione, per altre persone questo sarà possibile dopo un po’, altre ancora lo prenderanno in considerazione magari a distanza di vent’anni. Queste sono le esperienze che stiamo facendo, ma dobbiamo coltivare questo tipo di messaggio, perché altrimenti riproponiamo modelli rigidi, modelli confusivi e non possiamo semplicemente accusare gli altri di non riconoscerci quando noi stessi facciamo fatica a trovare una nostra precisa collocazione.
Questo ha un effetto inevitabile su un altro tema molto presente e importante che è quello dei modelli di mediazione. Tutti siamo partiti col bisogno di definire il nostro modello. È un bisogno fisiologico, un bisogno fondamentale. Il problema è che l’esperienza poi ci dice delle cose anche un po’ diverse.
Io oggi ormai sono arrivato alla conclusione che esistono tanti modelli quante persone vedo. Se proviamo a immaginarlo rispetto alle persone che abbiamo davanti ci porta alla conclusione che la nostra formazione, la nostra attenzione in mediazione deve essere sempre più portata a considerare quali sono le competenze e le richieste effettive delle persone che ci vengono a chiedere aiuto, che non chiedono percorsi terapeutici, percorsi elaborativi, ma degli spazi di ascolto e di aiuto su una difficoltà contingente che può essere trattata al meglio in alcuni casi, attraverso un discorso molto pragmatico di come ci mettiamo d’accordo su alcune cose e toccare ben poco altro, oppure, in altri casi, dando più spazio anche ad aspetti più elaborativi, a considerazioni di aspetti emotivi e quant’altro, ma che non sono definibili dall’inizio, ed è anche pericoloso che questo sia definito dall’inizio rispetto al tipo di operatore che si propone.
È per questo che dobbiamo, e lo stiamo facendo, allargare la fascia di operatori, la fascia di professionisti che possono occuparsi della mediazione proprio nella consapevolezza che la mediazione, e lo spazio di mediazione, comunque deve essere uno spazio di alta professionalità, perché le persone devono essere garantite da chi trovano di fronte nel loro lavoro di questo percorso, e di non trovare di fronte a loro persone che introducono più o meno velatamente percorsi terapeutici, o che introducono, ad esempio, forme conciliatorie che non hanno nulla a che vedere con la mediazione familiare, in quanto in qualche modo sono sempre frutto di accordi che vengono un po’ calati dall’alto.

1 commento:

boutros ha detto...

Centrato davvero lo sguardo di Canevelli sulla realtà della mediazione. Esplorando gli aspetti non necessariamente conflittuali, evidenzia che il lavoro di counselling deve orientarsi al superamento di schemi convenzionali, che il mediatore per primo ripropone.. Mentre, ampliando l'orizzonte del concetto dell'interdipendenza relazionale, potrebbe aiutare la coppia ad acquisire più creatività ad empowerment
Angela Fancello