GIUDICE DI PACE

di Mariarita Teofili Avvocato, Vicepresidente dell’Associazione Forum Familiae itfv.treviso@tin.it

Desidero ringraziare l’organizzazione del Congresso che, con cortese ospitalità, mi da occasione di presentare la nostra Associazione.

L’Associazione Forum Familiae è stata costituita qualche anno fa per iniziativa di un gruppo di Avvocati del Foro di Roma, con l’intento di approfondire le problematiche che emergono dall’evolversi del diritto di famiglia. E non solo.
Siamo convinti che l’ottica dell’Avvocato di famiglia non può e non deve essere esclusivamente tecnica, in quanto, l’avvocato che si prende cura del conflitto familiare, entra in un groviglio di questioni che attengono si al mondo del diritto, ma anche al mondo degli affetti. In tal senso intendiamo approfondire e promuovere quegli strumenti, anche extraprocessuali, che presentino le caratteristiche utili a dirimere i conflitti, vuoi di coppia, che genitoriali. Siamo dell’idea che per assolvere compiutamente al mandato che ci viene conferito e fare davvero gli interessi del cliente, non possa essere trascurato che egli è parte viva di un conflitto che noi dobbiamo contribuire a dirimere, e non certo a fomentare e che, d’altronde, in questa materia la sentenza, anche la più equilibrata, rischia di non trovare sostanziale applicazione se non viene sentita come giusta da parte dei destinatari.
E’ in quest’ottica che l’attenzione degli Avvocati dell’Associazione Forum Familiae si è rivolta alla Mediazione Familiare in quanto essa, quale servizio alternativo a quello offerto dal sistema giudiziario, presenta tutte le caratteristiche per essere strumento efficace di superamento del conflitto, mediante la restituzione di competenze genitoriali messe a tacere da dissapori personali.
In occasione di questo Congresso, vogliamo offrire una sintetica relazione sull’impiego della Mediazione Familiare presso il Tribunale di Roma.
Abbiamo parlato con i singoli Giudici per riferire, in questa sede, del loro orientamento, ma soprattutto delle difficoltà nell’applicazione, in concreto, della Mediazione Familiare, ritenendo utile offrire a questo Consesso alcuni dati che possano far riflettere sulle cause di tali difficoltà e sulle possibili soluzioni per il loro superamento.
Le difficoltà rilevate dai nostri giudici nascono da quello che vorrei definire il paradosso della Mediazione Familiare: La Mediazione Familiare, si insegna, è un percorso alternativo al sistema giudiziario. Eppure sappiamo bene che nella gran parte dei casi essa si innesca nel procedimento giudiziario.
Infatti, gli 11 giudici che compongono la Sezione Famiglia del Tribunale di Roma, ci hanno riferito che sono ancora piuttosto rari i casi in cui le coppie in crisi abbiano effettuato un percorso di Mediazione Familiare prima di approdare alle aule di giustizia, quasi rammaricandosi di ciò.
Ma allorquando la Mediazione Familiare si inserisca nel procedimento giudiziario sorgono indiscutibili difficoltà di ordine teorico e pratico.
La prima difficoltà è di ordine deontologico: come può il Giudice, chiamato a giudicare, senza alcun incipit da parte del legislatore, abdicare a questo ruolo ed invitare le parti ad accedere ad uno spazio extragiudiziale alternativo a quello in cui esse hanno proposto le loro istanze di giustizia.
Non a caso, del resto, tale difficoltà è avvertita sopratutto dal Tribunale Ordinario la cui funzione giudicante è indubbiamente più spiccata rispetto a quella del Giudice Tutelare.
Certamente il Giudice Tutelare si troverà in una situazione più favorevole all’invio, in quanto i coniugi hanno già sperimentato il giudizio e sono in difficoltà nell’applicazione di regole, che, comunque, già esistono.
Non possiamo nasconderci che la difficoltà maggiore di utilizzazione della Mediazione Familiare si manifesta in modo più evidente allorquando i coniugi sono ancora in una fase di ricerca delle regole.
Non a caso tutti i giudici del Tribunale ci hanno riferito di effettuare l’invio alla Mediazione solo dopo aver dato, attraverso i provvedimenti temporanei ed urgenti, una prima regolamentazione del conflitto.
Ma anche quando, superato questo primo problema di ordine deontologico, il coraggioso Giudice, ravvisandone i presupposti, operi l’invio, sorgono immediatamente altre difficoltà.
Per poter funzionare, come tutti noi sappiamo, la Mediazione non può essere imposta, ma solo suggerita dal Giudice.
Affinchè tale suggerimento sia accolto per reale adesione al progetto di mediazione e non, per esempio, per timore di dissentire o peggio con intento dilatorio o ancora con la riserva mentale di dimostrare al Giudice che il progetto sarà fallito per colpa dell’altro, occorre che tale suggerimento attecchisca su di un terreno già reso fertile attraverso un’adeguata opera di informazione.
Il che purtroppo non sempre accade. Molti Giudici ci hanno riferito della scarsa diffusione che, ancora oggi, ha la Mediazione Familiare sia presso gli utenti, che molto spesso non ne hanno sentito parlare prima, che presso gli operatori del diritto, non sempre adeguatamente informati.
Ed infine un’ulteriore difficoltà pratica. Quando il Giudice opera l’invio, sul territorio di Roma, lo fa presso un Centro di mediazione pubblica. Questi centri hanno ovviamente tempi di attesa lunghi. Non solo. I Centri di mediazione che fanno capo ai vari Municipi sono condizionati dal criterio della territorialità, con la conseguenza pratica, che può capitare che i coniugi, finalmente chiamati, vengano poi rimandati indietro perchè quel Municipio non era territorialmente competente ad occuparsi di loro. A quel punto si sarà solo perso del tempo e tutti noi sappiamo quanta importanza ha il fattore tempo quando si tratta di cautelare la serenità dei nostri figli.
Questi rischi sono meno evidenti lì ove il Giudice, ed anche questo accade frequentemente tra i nostri magistrati, anziché inviare la coppia ad un Centro di Mediazione Familiare, attribuisce al CTU un mandato talmente ampio da ricomprendere anche un tentativo di mediazione.
In questo caso, però, il CTU non farà Mediazione Familiare in senso stretto, ma piuttosto utilizzerà le tecniche della Mediazione Familiare, con il rischio, non peregrino, di creare una confusione tra i coniugi e tra gli addetti ai lavori, atteso che diversi sono gli obiettivi ed i ruoli della CTU e quelli, invece, della Mediazione Familiare.
Questo il panorama emerso dalla nostra indagine. Ed è un panorama che ci lascia perplessi in quanto le difficoltà riscontrate non sono solo teoriche ma anche pratiche.
Ed allora quali soluzioni proporre?
A ben considerare, ci sembra, che tutte le difficoltà denunciate in realtà derivino dal fatto che, a tutt’oggi, la Mediazione Familiare, pur inserendosi all’interno del processo giudiziario, non Ë ancora regolamentata come un momento di esso.
Probabilmente tali difficoltà potrebbero essere superate dando alla Mediazione Familiare la dignità di uno strumento codificato, uno strumento al quale il Giudice può, nella sua discrezionalità, qualora ne ravvisi i presupposti, fare ricorso, sospendendo, questa volta su incipit del legislatore, l’iter giudiziario e suggerendo alle parti di rivolgersi ad uno spazio diverso ove tentare di individuare essi stessi, con l’aiuto del Mediatore, quelle regole di cui necessitano.
Se così fosse, vale a dire se la Mediazione Familiare fosse un’eventualità codificata del processo, tutti gli avvocati sarebbero tenuti ad informarsi ed a informarne le coppie, le quali saprebbero bene, a quel punto, che essa non può e non deve essere strumentalizzata con intento dilatorio o celando riserve mentali.
Ancora se la MF fosse finalmente strumento codificato, l’invio da parte del Giudice potrebbe essere fatto indifferentemente a Centri di Mediazione pubblici o privati, purché iscritti in appositi elenchi e, quindi, preventivamente vagliati ed autorizzati dai Tribunali, con la conseguenza pratica di evitare quegli inutili e dannosi dispendi di tempo.
Infine, sarebbe definitivamente distinta la mediazione dalla CTU ed a quest’ultima, finalmente restituita al suo contenuto ed alle sue finalità, il Giudice potrebbe far ricorso nelle ipotesi in cui la Mediazione Familiare è fallita oppure, nella sua discrezionalità, abbia ritenuto che non sussistessero i presupposti per tentarla, perchè, non dimentichiamo, che la Mediazione Familiare non è la panacea e che non tutti i casi di conflitto sono risolvibili attraverso di essa.
Però, e qui concludo, una riforma siffatta dovrebbe comunque garantire l’ulteriore requisito imprescindibile della Mediazione Familiare: quello della spontaneità dell’accesso.
Non deve essere dimenticato che la Mediazione Familiare non può essere resa obbligatoria, circostanza questa della quale la nuova previsione dell’art. 709 bis c.p.c., di cui al Progetto di Riforma Paniz, configurando la Mediazione Familiare come una sorta di tentativo preliminare obbligatorio di conciliazione, non ci sembra abbia tenuto debitamente conto.

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