L’ESPERIENZA DI MEDIAZIONE NELLE AZIENDE

di Alessandro Barberis Presidente della Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Torino eteropoiesi@eteropoiesi.it

1. Perché sono qui?

Mi è stato chiesto di portare la mia testimonianza di vita aziendale. Non è la prima volta che partecipo ad un Convegno dell’AIMS.

Ma per chi si stupisce di vedere un ingegnere che ha vissuto quarant’anni nell’industria discutere in un consesso di mediatori sistemici,… di professionisti dell’esperienza familiare vi faccio presente che, da ingegnere, un approccio “sistemico” è nella mia formazione.
Di più: sono ingegnere minerario, dunque con una certa predisposizione a scavare dentro le cose…!

Inoltre perché la capacità di mediazione, o meglio l’esercizio della mediazione tocca tutti gli ambiti della vita, è un modo di affrontare i problemi, e quindi riguarda il mondo del lavoro. Come sapete è un delicato e complicato sistema di relazioni dentro le imprese e tra le imprese e l’ambiente esterno.

Molte relazioni, molti conflitti. O, almeno, spesso conflitti.

Si tratta di problemi che nascono dalla dialettica tra aspettative e interessi diversi, collettivi e individuali.
Da bilanciare quanto meglio è possibile.

2. Fissiamo qualche paletto

Non sto a raccontarvi tutto quello che ho fatto nella mia vita professionale perché non è questa la sede; mi sono occupato di razionalizzazioni, ristrutturazioni, cambiamenti di missioni produttive, risanamenti, integrazioni tra imprese, e dei risvolti interni ed esterni di questi processi.
Tutto quello che vi dirò viene quindi dalla mia esperienza professionale.

Che significa “mediare” per un manager?
Io penso che “mediare” voglia dire ricercare e raggiungere un punto di equilibrio tra diverse istanze.
Ma NON un punto di equilibrio “purché sia”,… bensì un punto di equilibrio coerente con le strategie di sviluppo dell’azienda e con gli obiettivi che essa vuole raggiungere.

Il successo della mediazione nelle aziende, insomma, si misura con i risultati,… con la redditività,… con la creazione di valore economico.

Ovviamente risultati, redditività, valore sono da perseguire, certo, tenendo debitamente conto di tutti gli stakeholders– dipendenti, sindacati, fornitori, partner industriali e finanziari, istituzioni e così via, ma senza subordinare a nessuno di questi la competitività dell’impresa.

Se un manager cade in questo errore, rende un cattivo servizio non solo all’azienda, ma alla collettività, sulla quale prima o poi finiscono per ricadere i costi dell’inefficienza.

3. Una vita in mezzo ai conflitti

Ho passato una vita in mezzo ai conflitti e ho imparato che le sfide di un manager non si giocano solo sui risultati, sulla redditività e sulla crescita.

Si giocano anche sul piano della capacità di stabilire il miglior clima possibile di ascolto, collaborazione e interazione tra le varie componenti: i sindacati, le istituzioni, le banche, i mass media, gli analisti finanziari e, per prima cosa naturalmente, con i propri collaboratori.

Non è sempre facile trovare la quadra che soddisfi tutti.
A volte non è possibile. Non tutte le situazioni possono essere mediabili.

4. Come uscire dal labirinto? Quale il mio filo d’Arianna

Non so se ho un metodo. Vi possItalico solo dire quelli che per me sono stati dei punti di forza e che sono diventati il mio modo di essere: la calma, la pazienza, la velocità, la fiducia in se stessi e negli altri, la coerenza e la credibilità, la leadership e il senso della realtà. Ovviamente il tutto basato sulle competenze.

4.1 La calma, virtù dei forti

Innanzitutto, mi sono sempre sforzato di mantenere calma e lucidità… il non farmi prendere dall’ansia di dover dare una risposta immediata a mille questioni in contemporanea.

L’ansia non aiuta: distrugge la consapevolezza dei problemi, pregiudica la loro soluzione.

E quando dico “no all’ansia”, penso alla mia, ma anche a quella dei miei collaboratori e a quella dei miei superiori.

4.2 La pazienza, gutta [quae] cavat lapidem

Poi ci vuole pazienza, molta pazienza. Con le persone, con i problemi.

I problemi si risolvono uno alla volta, come le parole crociate – purché, proprio come con le parole crociate, non si perda mai la visione d’insieme, il senso della complessità del sistema e delle interazioni tra le sue componenti.

Talvolta, è necessario saper aspettare: ci sono nodi che si sciolgono solo nel divenire…perché non tutto dipende da voi, solo da voi; e perché non sempre è possibile trovare dove sistemare la tessera del puzzle se prima non avete composto il suo contorno.

4.3 La velocità

Ma se i passi si devono fare uno dopo l’altro, perché altrimenti si cade, bisogna anche andar veloci.

La barca (l’azienda) deve andare avanti.
E ci sono comunque decisioni da prendere per farla marciare.

Io ho sempre cercato di decidere rapidamente. Prendendomi tutti i rischi connessi, anche quello di sbagliare.

L’importante è saper cambiare la rotta se necessario, accettando gli errori, quelli propri e quelli altrui, dei collaboratori.

4.4 La fiducia, in se stessi e negli altri

Accettare l’errore è un modo – molto tangibile - per trasmettere e ricevere fiducia.

Se le persone sanno che possono fidarsi di te, ti danno mille volte tanto; e se sbagliano, sbagliano meno di quando sentono di avere una spada di Damocle sulla loro testa… la tipica situazione che genera ansia e, con l’ansia, o il prendersi rischi eccessivi o il non prendersene affatto, che spesso è la stessa cosa.

D’altra parte, non esiste il taumaturgo. Senza una buona squadra non si manda avanti un’azienda.

Dunque, è importante aver fiducia in se stessi…sapere che quando ci si applica con costanza, con realismo, con passione, una via d’uscita in positivo si trova sempre ma è fondamentale credere negli altri.
E se proprio non si ha fiducia in loro, bisogna cambiarli!

4.5 La coerenza e la credibilità

E poi ci vuole molta, molta coerenza.
La gente deve sapere che quando parla con te non ha di fronte uno che predica in un modo e razzola in un altro. Deve sapere che ha di fronte una persona che crede in quello che fa e fa solo ciò in cui crede.

Ho sempre cercato di essere molto chiaro con tutti: ho dichiarato i miei obiettivi, ho spiegato il senso dei miei progetti.

Non mi sono mai sottratto al confronto, alla spiegazione di ciò che avevo in mente.
E ho fatto mie le critiche e le obiezioni, quando erano sensate.

Ma poi, via, si parte e si fa. E se non lo si riesce a fare, non ci si nasconde dietro questo o quell’alibi: si lascia la partita.

4.6 La leadership e il realismo

Sono tutti questi elementi – la calma, la pazienza, la velocità, la fiducia, la coerenza, la credibilità – altrettante facce di una seniority – o, se volete, di una leadership - che con l’andar del tempo viene riconosciuta dai tuoi interlocutori, che ti percepiscono come adeguato al ruolo, anche al ruolo di mediatore come “risolutore di problemi”, per consentire alle situazioni di evolvere

Ma una leadership degna di questo nome credo che presupponga ancora qualcosa: un sano realismo, un’onestà di fondo nel guardare alla realtà per quello che è e non per come ci piacerebbe che fosse.

Realismo, per me, vuol dire saper dare il giusto peso alle cose, capire che cosa è veramente importante e che cosa no.

Vuol dire avere il senso del limite oltre il quale non si può andare, ma andare sempre fino al limite, anche se può sembrare impossibile.

Vuol dire appassionarsi al lavoro, ma anche saper staccare la spina, perché oltre il lavoro c’è tanto altro, sia nella dimensione familiare sia in quella sociale.

5 Conclusione

Ho ormai alle spalle quasi quarant’anni di lavoro, la maggior parte spesi ad affrontare sfide difficili in sistemi complessi.
In questi quarant’anni ho potuto constatare che le aziende, di qualsiasi genere, vanno bene o male sempre per le stesse ragioni:

  • se c’è o non c’è una leadership;
  • se si è capaci o meno di dare l’esempio, prima di tutto un esempio di coerenza e di rigore;
  • se si ha o non si ha fiducia nelle persone;
  • se si sa fare squadra o meno;
  • se si accetta di sbagliare e di imparare dagli errori o piuttosto, per paura dell’errore, ci si sottrae alla responsabilità di decidere;
  • se si ascolta chi ha le competenze invece di pensare di fare tutto da sé;
  • se si ha il senso delle priorità o ci si perde nei dettagli;
  • se si decide velocemente o si ha paura dei rischi;
  • se si è fisicamente presenti e sé ci si rende conto sul posto dei problemi, o si preferisce invece starsene comodamente riparati nella torre d’avorio;
  • se ci si impegna a incontrare tutti i collaboratori e a motivarli al massimo, invece che comunicare per note di servizio;
  • se si mettono metodo e determinazione nel perseguire i risultati o ci si illude che, prese le decisioni, i risultati vengano da soli; se si è realisti, ma sostenuti da obiettivi ambiziosi o piuttosto tanto ambiziosi da essere irrealisti.
  • se si crede davvero in quel che si fa e si fa solo ciò in cui si crede o, invece, si è disposti ai compromessi perché quel che ci interessa è altro – il potere, lo status, l’immagine personale...

Come poi tutto ciò venga declinato nei comportamenti concreti, dipende dal carattere e dalla personalità e dalla propria storia.

Per quel che mi riguarda, non mi perdo in conflitti con le persone, ma cerco la soluzione dei problemi.

Bado alla sostanza e a stabilire un clima di collaborazione, entro e fuori l’azienda.

Non ho mai inteso i ruoli di responsabilità che mi sono stati affidati come trampolino di potere personale.

Vi ringrazio per l’attenzione.

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