MEDIAZIONE SCOLASTICA O MEDIAZIONE A SCUOLA?


di Maria Grazia Papi I.R.F. di Firenze, Insegnante di Scuola Superiore, Mediatore, Formatore di insegnanti irf@fi.flashnet.it


Introduzione
Quando si parla di mediazione nell’ambito della scuola si usa l’espressione “mediazione scolastica”, ma forse bisognerebbe preferire “mediazione a scuola”, perché diversi sono i luoghi in cui possono nascere i conflitti e la loro tipologia. Infatti dobbiamo considerare la scuola, allo stesso tempo, luogo di lavoro per il Dirigente Scolastico, i docenti, il personale A.T.A. (non docenti) che ogni giorno vi svolgono la loro funzione e comunità educativa per il ruolo che essi assumono, in particolar modo gli insegnanti, verso la componente per cui la scuola stessa è stata creata: gli studenti. “La scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni” (D.P.R. n° 249 del 24/06/98 – Regolamento delle studentesse e degli studenti nella scuola secondaria).
I conflitti fra il personale di segreteria o i custodi non hanno niente di diverso da quelli che possono sorgere in qualunque altro posto di lavoro e anche quelli fra insegnanti o fra questi e il Dirigente Scolastico (D.S.) possono essere ricondotti alla tipologia di conflitti fra colleghi o legati al ruolo gerarchico, e quelli con le famiglie non assomigliano forse ai conflitti con l’utenza a cui anche altre organizzazioni devono far fronte?
Ciò che rende la scuola diversa da altri luoghi di lavoro è il suo essere comunità educative e “La comunità scolastica, fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni insegnante-studente” (D.P.R. 249 del 24/06/98). Quindi il fulcro attorno a cui ruota tutta l’organizzazione scolastica è la classe come struttura sociale, in cui interagiscono persone con status diversi, come allievi e insegnanti.
“Perché l’insieme… sia funzionale, occorre, sul piano relazionale, che le persone si riconoscano e si accettino fra loro. Svolgendo…ruoli diversi e complementari…” (Vayer-Bianchi di Castelbianco, Le interazioni nella classe – ed. scientifiche Ma.Gi. Roma 1998). Ecco perché l’espressione “mediazione scolastica” dovrebbe, a mio avviso, essere riferita ai conflitti che coinvolgono l’essenza stessa della scuola: le relazioni nel gruppo classe fra insegnante/alunni o alunni/alunni (tra cui le divergenze nascono spesso in rapporto all’insegnante), soprattutto in una realtà, quella italiana, in cui gli stessi studenti restano insieme per diversi anni.
Se un clima conflittuale nuoce alla scuola come ambiente di lavoro, tanto più produrrà effetti negativi dal punto di vista educativo.
Rappresentando con un disegno la mediazione a scuola, metterei al centro proprio la gestione dei conflitti insegnante/alunni e alunni/alunni per poi allargare alle altre componenti:
Questo non vuol dire che i conflitti che nascono nelle “fasce più esterne” non siano importanti, perché, se il compito della scuola è quello di preparare alla vita, essa lo farà ancora meglio se sarà capace di creare al suo interno un clima collaborativo, in cui le varie componenti, ognuna con le proprie competenze, tenderanno allo stesso fine “trasversale”, ossia formare le nuove generazioni sotto il segno della non-violenza, del rispetto reciproco, della collaborazione, della pace, ciò significa solo che incidono meno sul nucleo, sul gruppo classe in cui si concretizza l’essenza stessa della scuola: lo sviluppo cognitivo, l’interazione con gli altri, l’ascolto e l’accettazione dell’altro.

La mediazione a scuola: una necessità

Luogo di lavoro o comunità educativa, la scuola è comunque un posto altamente conflittuale, in cui la mediazione si presenta come una necessità, anche se il conflitto viene tendenzialmente negato e si preferisce parlare di “disfunzione”.

A) La scuola luogo di lavoro
Come ambiente di lavoro infatti si presenta come un’organizzazione con:

vprocedure precise (iscrizione, valutazione, esami…);
vstrutture istituzionali (consigli di classe/interclasse, di Circolo/Istituto, collegio docenti…);
vruoli e rapporti tra i ruoli ben definiti (D.S. – docenti – studenti-personale A.T.A.).

Questo sistema poi non è chiuso in se stesso, ma interagisce con l’ambiente esterno: famiglie, istituzioni, comunità sociale, mercato del lavoro.
Molti sono i luoghi dove può nascere un conflitto: gli uffici di segreteria o un qualunque corridoio dove operano i custodi, molto spesso quando elementi nuovi entrano a far parte del vecchio gruppo e c’è difficoltà per gli uni ad integrarsi e per gli altri ad accoglierli. Comunque anche tra persone che si conoscono da molto tempo possono nascere divergenze che, se non risolte subito rischiano di trasformarsi in aspri conflitti, perché entrano in gioco sentimenti ed emozioni come gelosie, invidie, risentimenti, si può arrivare a non salutarsi più, ad ignorarsi a vicenda.
Proprio perché si era venuta a creare una situazione di questo tipo, nella mia scuola è stato tenuto un corso di formazione a tutto il personale A.T.A., richiesto dal Dirigente dei Servizi Amministrativi che ne ravvisava un’urgente necessità, centrato sulla gestione dei conflitti, la loro risoluzione e la mediazione (in programma: l’apertura di uno sportello di mediazione). Anche se non tutti i problemi sono stati risolti, il clima è comunque migliorato già dalla sensibilizzazione a queste problematiche.
Ugualmente conflittuali il collegio dei docenti e i consigli di classe/interclasse. Prendiamo per esempio il primo. Esso riunisce tutti gli insegnanti di una istituzione scolastica per una collegialità decisionale e dunque un’assunzione condivisa di responsabilità. Vi si manifestano divergenze di opinioni sugli obiettivi da raggiungere o sul modo con cui farlo. Tali diversità di vedute sarebbero positive se fossero solo uno scambio di opinioni per giungere alla soluzione migliore, sarebbero una forza propulsiva, purtroppo non è così o non è sempre così, perché se anche i contenuti del “conflitto” non sono personali, c’è anche il coinvolgimento di tali aspetti, perché una persona non vive in due dimensioni ed un conflitto “ad rem” diventa spesso un conflitto “ad personam”, poiché i docenti si esprimono con le loro pulsioni, sfide, egoismi, speranze. C’è chi ha paragonato il collegio ad un’arena in cui si lotta per far prevalere i propri interessi o ad un teatro in cui ognuno vuole affermarsi recitando il proprio copione. Tutto ciò lascia una scia, forse non di odio, ma di antipatie, di incomprensioni e il clima risentirà di queste divisioni.
Nei consigli di classe divergenze sulla didattica o su altre questioni rischiano di inasprire gli animi, così, invece di risolvere un problema, nascono dissapori e malumori con l’intima convinzione del/dei docente/i di restare nella propria posizione di depositario della verità.
Anche fra insegnanti e genitori, siano essi rappresentanti eletti negli organi collegiali o solo padri e madri degli studenti che frequentano, può non esservi un’interazione positiva, ma contrapposizione, come un dialogo fra sordi se le richieste dei genitori vengono considerate dai docenti come un’intrusione di “non addetti ai lavori”, un attacco alla libertà d’insegnamento e alla loro professionalità e viceversa le famiglie possono sentirsi accusate di non aver saputo o di non sapere educare i propri figli.
Che dire del D.S.? Egli è il Capo d’Istituto, responsabile della gestione amministrativa e organizzativa, rappresentante legale dell’Istituzione scolastica, diretto superiore del personale docente e non docente. E’ il leader istituzionale, colui che dovrebbe avere la capacità di analizzare eventi e situazioni, ma anche di favorire le condizioni per promuovere un clima positivo, dovrebbe quindi avere qualità di apertura, accettazione, accoglienza, senza esibizionismo e manifestazione di superiorità che irritano e sfiduciano il gruppo. Purtroppo non sempre è così e numerosi sono i conflitti che sorgono fra insegnanti o personale A.T.A. e D.S.. Non sempre la mediazione è possibile, perché il D.S. può rifiutare un confronto che considera riduttivo del suo ruolo gerarchico.
La conflittualità dunque è presente a scuola come luogo di lavoro, la mediazione è allora una necessità, un aiuto per poter “star bene”.

B) La scuola comunità educativa
Ma se la scuola è anche e soprattutto comunità educativa, ossia luogo deputato allo sviluppo delle conoscenze e dell’elaborazione critica, alla socializzazione, in una parola alla formazione dell’uomo e della donna del domani, essa è centrata sugli studenti. Chi sono? Non sono lavoratori della scuola, sono gli utenti, ma utenti particolari, perché vivono all’interno dell’ambiente di lavoro, sono soggetti alle regole del contenitore scuola (esiste un regolamento di Circolo/Istituto che regola le entrate, le uscite, le assenze…), ma non scelgono né gli insegnanti né l’avvicendarsi delle ore, sono soggetti al sistema gerarchico, possono subire delle sanzioni, devono eseguire i compiti assegnati come vuole l’insegnante, sono soggetti ad una valutazione che permette loro di avanzare nel percorso formativo o che li costringe a fermarsi o che può addirittura escluderli.
Innumerevoli sono gli studi sulla metodologia, la didattica, i ritmi e gli stili di apprendimento, la valutazione, ma pochi, almeno fino ad oggi quelli che riguardano i conflitti che possono nascere nella classe, nucleo fondante della struttura scolastica, le loro cause e il modo per prevenirli o risolverli. Eppure, anche in quelle istituzioni scolastiche dove non vi sono problemi di violenza grave o dove si può addirittura parlare di ambiente tranquillo, i conflitti esistono ed accompagnano le attività che vi si svolgono.
All’insegnante è richiesta sempre più, oltre ad una competenza di contenuti e di metodo, anche una competenza relazionale, ossia la capacità di gestire il gruppo classe e una capacità di rapporto individuale con gli alunni.
Ho effettuato nel mio Istituto (una scuola superiore) una ricerca in classi di alunni dalla prima alla quinta (14-19 anni), relativa alla tipologia di conflitti fra insegnanti/alunni e alunni/alunni. Ecco i risultati in ordine decrescente:

insegnanti/alunni
vMancanza di rispetto sui patti, i professori cambiano idea non mantenendoli (esempio di uno studente: “Il professore ha chiesto se preferivamo il compito o l’interrogazione e ci ha concesso un giorno per decidere. Dieci minuti dopo pretendeva già la risposta. Abbiamo scelto di fare il compito, ma l’insegnante ha deciso di interrogare”
vMancanza di dialogo, imposizione: il professore ha sempre ragione e non accetta le proposte o le osservazioni degli studenti, non accetta neppure di discuterne. Lo studente che esprime la sua opinione è giudicato male
vMancanza di chiarezza da parte dei professori, basterebbe fare un accordo e ognuno fare il suo lavoro e il suo dovere
vMancanza di rispetto reciproco
vMancanza di motivazione e spiegazione dell’insegnante su di un voto considerato non giusto
vPreferenze e antipatie
vDistrazione e confusione in classe
vInterrogazioni – Giustificazioni - Valutazione

Possiamo vedere che i conflitti sono soprattutto legati a problemi relazionali, meno importanti per gli studenti quelli disciplinari o legati al lavoro scolastico. A volte una semplice spiegazione per un voto, un giudizio, il metodo adottato, un lavoro da fare possono risolvere una divergenza che altrimenti rischia di trasformarsi in un conflitto anche violento e finire con sanzioni disciplinari. Dunque la trasparenza, il dialogo, delle regole stabilite e condivise all’inizio dell’anno, nel rispetto di quelle esistenti nel contenitore scuola e rispettate da tutti – insegnanti e studenti – possono essere un valido aiuto e contribuire a creare un clima di collaborazione. Se il docente diventa un punto di riferimento per i suoi alunni, essi avranno fiducia in lui e potranno anche accettarlo per risolvere eventuali controversie fra loro.
Se c’è qualcosa che non va in classe infatti, il primo ad accorgersene è proprio l’insegnante; per avere una conferma delle sue sensazioni senza dover fare domande a cui probabilmente gli studenti non risponderebbero di fronte al gruppo, egli può allora far disegnare une mappa delle relazioni con l’IO messo dentro un cerchio al centro di un foglio, i compagni sono altrettanti cerchi della stessa grandezza o no, disposti attorno all’IO secondo il concetto di legame:
Legame leggero ………………..
Legame forte _______________
Legame forte conflittuale______//________
Legame leggero conflittuale………//…………

E’ così che ho scoperto l’emarginazione di alcuni alunni, “rei” di non essersi presentati ad una interrogazione programmata e di aver causato i brutti voti degli altri che non erano pronti. La mediazione che ho fatto ha funzionato, è servita a riavvicinarli, l’accordo è stato rispettato durante tutto il corso dell’anno. Nessuno si è più sottratto alle proprie responsabilità, in caso di malattia o di altro impedimento, i compagni venivano avvertiti telefonicamente il giorno precedente.
“La strategia della mediazione……è un modo nuovo di pensare e poi un nuovo modo di agire…..”, bisogna allora “…costruire la propria capacità di Mediazione….” (R. Giommi, La mediazione nei conflitti familiari Giunti 2000).
Ponendosi in questa nuova ottica, l’insegnante e gli studenti hanno la possibilità di instaurare un clima di fiducia reciproca: la relazione e il lavoro scolastico ne trarranno vantaggio. Durante un corso di sensibilizzazione alla mediazione nella scuola che ho tenuto nel mio Istituto, i colleghi hanno espressamente richiesto di approfondire i conflitti insegnante/alunni.

Alunni/alunni
vMancanza di rispetto ( “scherzi, prese in giro da parte dei compagni, pettegolezzi, offese”)
vAtteggiamento di superiorità di alcuni
vDiverso approccio al lavoro scolastico (mancanza di disponibilità dello studente bravo nei confronti dei meno bravi o di coloro che non studiano. Risentimento di questi ultimi)
vImpegni non rispettati (“alunni che non si presentano alle interrogazioni programmate, altri sono interrogati al loro posto e prendono brutti voti”)
vProblemi sentimentali (“ci si contende o ci si ruba il/la /ragazzo/a”)
vIn genere, come dice uno studente “Problemi strettamente legati al fatto di dover stare 6 ore al giorno con le stesse persone, quindi dopo del tempo anche i piccoli dispetti di ognuno diventano insopportabili”)

Conclusione

Questi non sono problemi gravi se paragonati a furti, razzismo, racket, bullismo. La mia è una scuola abbastanza tranquilla, ma, come ho detto in precedenza, la conflittualità non manca ed è proprio per prevenire atti più gravi e far sì che il clima generale sia positivo è necessario un aiuto alle varie componenti della scuola, alunni e insegnanti in primo luogo.
Un progetto di Peer Mediation, ossia di mediazione fra alunni fatta da alunni è ambizioso e richiede la collaborazione di diverse forze in gioco, ma una sensibilizzazione alla mediazione, alla nozione di conflitto e di comunicazione fatta alle varie componenti – insegnanti, alunni, personale non docente, genitori – più facilmente attuabile può ugualmente essere di grande aiuto.


BIBLIOGRAFIA
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  • Jefferys-Duden K., Mediatori efficaci. Come gestire i conflitti a scuola, La Meridiana 2001
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  • Miscioscia D- Novara D (a cura) Le radici affettive dei conflitti La Meridiana
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  • Bandler R. – Grinder J., La struttura della magia, Astrolabio 1981
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  • Pease A., Leggere il linguaggio del corpo, Arnoldo Mondatori Milano 1993
  • Pacori M., Come interpretare i messaggi del corpo, De Vecchi n.e. Milano 2002

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