LE STRATEGIE DI MEDIAZIONE NELLA RISOLUZIONE DELLE SITUAZIONI DI CONFLITTUALITÀ FAMILIARE DOPO UN LUTTO

di Alberto Vito
Psicologo, Psicoterapeuta Responsabile U.O. Psicologia Ospedaliera A.O. D. Cotugno - NA Giudice Onorario Tribunale per i Minorenni di Napoli Componente Commissione Nazionale Aids - Ministero della Salute alberto.vito@excite.it

Il contesto e la conflittualità familiare
Uno dei contesti in cui la conflittualità tra gli individui si manifesta con maggiore frequenza ed intensità è, e non potrebbe essere diversamente, l’ambito familiare.
Proprio la forza dei legami familiari e la ricchezza degli scambi emotivi tra i componenti della stessa famiglia sono la prima causa del motivo per cui i maggiori conflitti nella nostra vita li abbiamo con i nostri familiari. Infatti, è con essi che condividiamo gli aspetti emotivi, psichici e materiali più importanti della nostra esistenza.
E’ evidente che un certo grado di conflittualità familiare è non solo inevitabile ma può anche essere utile all’evoluzione degli individui che ne sono coinvolti. La conflittualità è inevitabile perché è difficile immaginare che all’interno della stessa famiglia tutti condividono le stesse esigenze, gli stessi desideri, le stesse opinioni, gli stessi gusti. Dalle differenze individuali non può che scaturire un certo livello di conflittualità. Ormai è affermato che una organizzazione eccessivamente statica, in cui le differenze individuali vengono annullate, pur di evitare qualsiasi pur minima dinamica conflittuale, non rappresenta un contesto familiare desiderabile. La famiglia è un sistema sociale in costante trasformazione, con esigenze adattive che mutano nel corso del tempo, per assicurare continuità e crescita ai suoi membri. Un’organizzazione troppo rigida, incapace di reagire alle nuove esigenze personali connesse alle diverse fasi del ciclo di vita di ciascuno, appare senz’altro inadeguata. D’altro canto, anche un organizzazione eccessivamente tesa al cambiamento, con tempi troppo rapidi, può creare difficoltà sul fronte della stabilità dell’identità individuale e familiare.
Tra le diverse tipologie di conflittualità familiare, quella più studiata è senz’altro la conflittualità coniugale. La mediazione familiare è un intervento specifico, sorto proprio dall’esigenza di ridurre le conseguenze negative nei figli di quei genitori la cui relazione affettiva è entrata in crisi. La mediazione tenta, laddove si presenta un alto livello di conflittualità nella gestione della separazione coniugale, di salvaguardare un’area di collaborazione che riguarda le funzioni genitoriali.
Un esempio di conflittualità familiare che può svolgere una funzione positiva è certamente rappresentato dal conflitto intergenerazionale. In tale conflitto, di solito, la generazione più giovane è portatrice di istanze di cambiamento, di rinnovamento mentre la generazione più anziana rappresenta l’esigenza di salvaguardare le tradizioni e di conservare la continuità con il proprio passato. Proprio dal confronto tra queste due istanze, entrambe legittime, ciascuna famiglia trova la propria dimensione evolutiva, con tempi e modalità proprie di risolvere tale dualismo.
Pertanto, piuttosto che analizzare gli aspetti “positivi” (legati all’opportunità di cambiare ed al rafforzamento dell’identità) o “negativi” (in quanto sinonimo di lotta e competitività distruttiva) del conflitto, si tende oggi ad affermare una connotazione naturale dei fenomeni conflittuali, che volge l’attenzione non tanto al conflitto in sé quanto alla modalità di risoluzione che viene adottata. Infatti, è proprio la modalità di risoluzione di tali eventi naturali ed inevitabili che ne determinerà il significato nella prospettiva evolutiva individuale. Ma anche per i sistemi familiari, la capacità di rendere costruttive le esperienze di conflitto e la conseguente capacità di riorganizzare le regole di relazione sono tra i fattori principali che determinano il successo o meno dei processi di sviluppo. Infatti, molto spesso, è proprio l’incapacità a gestire situazioni di tipo conflittuale a determinare lo scioglimento dell’assetto familiare.

La conflittualità familiare dopo la morte di un genitore
Lavorando come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni, nel corso del tempo ho avuto modo di assistere ad un gran numero di situazioni familiari conflittuali. Quello che mi ha maggiormente impressionato è che giungono al giudizio del Tribunale non soltanto casi di conflittualità tra genitori – che pure sono la maggioranza – o casi di conflittualità intergenerazionale ma che è talvolta richiesto l’intervento dell’Autorità Giudiziaria in diverse situazioni in cui il conflitto riguarda altri componenti della famiglia.
In questa sede, mi soffermo in modo particolare su una situazione specifica: la conflittualità che si crea, dopo la morte di un genitore, tra il genitore sopravvissuto e i genitori del coniuge scomparso, in merito ai rapporti tra i nonni ed i nipoti. Mi sembra interessante segnalare due elementi:
- la frequenza numerica di tali situazione, che contrariamente a quello che potevo immaginare, non è affatto rarissima;
- la forte dimensione emotiva del problema che appare notevolissima per tutti i protagonisti, ma che molto spesso dagli stessi attori della vicenda viene inconsapevolmente occultata e “seppellita” (cioè ampiamente negata e sottovalutata dagli adulti coinvolti) con conseguente negativa o scarsa elaborazione del lutto e del senso di perdita (che si riversa anche sui figli nati dall’unione con lo/la scomparso/a).

Descrizione di casi
Per una migliore comprensione di tali situazioni di conflittualità familiare si delineano in modo sintetico due brevi casi tipici, provando a segnalare anche quali tecniche, mutuate dagli interventi di mediazione familiare, l’operatore può utilizzare, sia nell’ambito giudiziario delle udienze, che nel contesto di una relazione d’aiuto psicologico.
Nel primo caso, si rivolgono al Tribunale i nonni di bambini, figli di un loro figlio deceduto da qualche tempo, che non incontrano da mesi i minori, a loro dire, a causa dell’atteggiamento ostativo della madre che impedisce i rapporti tra i bambini e la famiglia d’origine del genitore scomparso. Nell’istanza che rivolgono al Tribunale si fa riferimento proprio al diritto del minore di mantenere tali rapporti piuttosto che al loro diritto di nonni ad incontrare i nipoti, visto che tale diritto non è giuridicamente riconosciuto in modo definitivo.
In un’altra situazione tipica, si rivolgono al Tribunale i genitori di una mamma deceduta. I nonni materni non condividono le scelte affettive compiute dal padre dei loro nipoti allorquando è divenuto vedovo, lamentano assenza di incontri con i bambini e talvolta esprimono forti elementi critici riguardo alle modalità educative tenute dal padre e, ad esempio, dalla sua nuova convivente.
Chi ha modo di ascoltare tali persone rimane impressionato dal notevole coinvolgimento emotivo, legato sia al dolore per la scomparsa di una persona cara, sia all’affetto verso i bambini, per i quali esiste un conflitto in merito alle modalità educative ed alla frequenza dei rapporti con una delle due famiglie d’origine. Descrivo ora quali sono, tra le tecniche comunemente usate dai mediatori nella gestione del colloqui, quelle più efficaci da utilizzare per rendere meno distruttivo tale conflitto.

Elaborazione di un intervento possibile
Come per ogni genere di conflitto, anche nei conflitti familiari occorre evitare che il conflitto diventi onnicomprensivo. Infatti, tanto più esso sarà generico ed onnicomprensivo tanto più si rivelerà distruttivo, non limitandosi ad un dissenso su una questione specifica. Occorre evitare l’escalation per cui il conflitto si allarga a dismisura, sino a mettere in discussione le proprie regole di relazione e di gestione del potere. Nei conflitti familiari, sono particolarmente pesanti quelli che giungono all’attacco dell’intera famiglia d’origine dell’altro (es.: “Ragioni come quell’oca di tua madre!” “Sei avaro come tuo padre!”, “Sei un ipocrita come tutti i tuoi parenti!”, ecc.) che conducono a pesanti aggressioni all’autostima dell’altro. Per una buona risoluzione è invece determinante la capacità di limitarsi al problema specifico. Occorre quindi che l’operatore faccia definire con chiarezza dai contendenti quale è il punto specifico di contrasto, evitando che si passi ad affermazioni troppo generiche o ad affermazioni di dissenso sui massimi sistemi. E’ molto utile che l’operatore riesca a riportare sempre la definizione del conflitto ad argomenti pratici e molto concreti.
Un’altra capacità che si rivela fondamentale è quella di esporre con chiarezza la propria posizione. La precisa definizione reciproca consente che il conflitto sia esplicito. In tal modo, ciascuno può scegliere con chiarezza se adottare strategie competitive, mediative o di negoziazione. Ovviamente, ciò non elimina le difficoltà esistenti nell’evoluzione della situazione conflittuale. Ma riduce di molto la possibilità che emergano paradossi, malintesi ed incomprensioni. Soltanto in una situazione di chiarezza delle reciproche richieste è possibile addivenire ad una soluzione. Pertanto, un altro compito dell’operatore è fare in modo che ciascuno esprima in modo chiaro la propria posizione. Talvolta si dà per scontato che, ad esempio per quello che riguarda le corrette modalità educative nei confronti dei minori, sia chiaro che cosa ciascuno intende ma, al contrario, scendendo nei dettagli, è molto utile che ciascuno formalizzi in modo puntuale la propria posizione.
Infine, tra le capacità relazionali più significative, ovviamente, vi è quella di ascoltare e soprattutto quella di immedesimarsi nel punto di vista altrui. Un grosso passo avanti nella risoluzione del conflitto avviene nel momento in cui si accetta che da punti di vista diversi, da posizioni diverse è inevitabile che la realtà osservata appare diversa. Tale dato è persino ovvio e può apparire scontato, ma in realtà molto spesso gli individui sono così identificati con il proprio punto di vista, che hanno la convinzione che ogni altra opinione rappresenta un errore o, addirittura, costituisce un’aggressione alle proprie posizioni. La capacità di riconoscere legittimità al punto di vista altrui è un requisito fondamentale per trasformare gli eventi conflittuali in occasioni costruttive. Di conseguenza, appare opportuno non solo che chi conduce il colloquio faccia in modo che entrambi i contendenti siano presenti all’esposizione dell’altro, ma deve anche avere sufficiente competenza nella gestione del colloquio facendo in modo che non vi siano – o, quantomeno, sia poche e brevi – le interruzioni ed i commenti anche non verbali. Come un arbitro in una gara sportiva, deve fare in modo che le regole del gioco siano conosciute e rispettate ugualmente da entrambe le parti. Può, inoltre, utilizzare la presenza dell’altro interlocutore per affermare la giustezza di alcuni aspetti nella posizione di ognuno.
Tornando alla situazione esemplificata, l’operatore con competenze psicologiche riconosce, alla base di tale tipo di conflitto, un problema di cattiva, scarsa e inadeguata elaborazione del lutto. In effetti, sia per i genitori del figlio scomparso e sia per il suo coniuge, si tratta di dover affrontare una realtà molto dolorosa e certo non auspicata: la morte di una persona molto amata. Ma quella che è (ed era) una situazione affettiva condivisa si trasforma in un’occasione di contrasto. Ciò avviene proprio perché la realtà è così dolorosa e così difficile da accettare che talvolta la cosa più facile da fare sia “prendersela con qualcuno” per una sorte tanto avversa e tragica. Così, una mancata elaborazione del lutto, fa in modo che i genitori se la prendano con la moglie o il marito che non hanno curato come dovevano il loro figlio malato e il partner accusi la famiglia d’origine facendo risalire, in modo quasi mitico, al passato l’origine dei mali, anzi di tutti i mali (dicendo o pensando che “… quella unione non si sarebbe dovuta mai realizzare!”). In verità, spesso si tratta di una realtà per tutti difficile da vivere e da accettare e, sino a quando, non verrà elaborata la morte del proprio caro, vi sarà sempre una disperata ricerca del “colpevole” a cui attribuire la responsabilità di un esito tanto infausto.
A mio avviso, spetta alla sensibilità dell’operatore valutare se, quando ed in che misura esplicitare alle parti tale lettura psicologica delle loro vicende. In qualche misura, anche la comunicazione che l’operatore fa della propria percezione delle vicende che gli vengono presentate è utile per giungere ad una risoluzione positiva del conflitto. Sicuramente, in ogni caso tale comprensione deve essere da lui utilizzata come una sorta di bussola che deve guidarlo nell’intervento (a prescindere se sceglie di darne comunicazione o meno), come una sorta di canovaccio su cui inserire le tecniche mediative prima esposte.


BIBLIOGRAFIA
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