MEDIARE LE STORIE: TECNICHE DI INTERVENTO NEI CONFLITTI TRA GENITORI E FIGLI ADOTTIVI

di Mariarosaria Menafro
Psicoterapeuta-mediatrice familiare Socio fondatore e didatta dell'I.TE.R Istituto di Terapia Relazionale-Caserta
iterposta@email.it

L'intervento di Mediazione Familiare si e' evoluto nel tempo influenzato anche dall'utenza, dalla popolazione a cui e' stato rivolto: alla stregua di quanto e' accaduto nella storia della psicoterapia, che puo' essere definita come la storia degli incontri tra i modelli terapeutici esistenti e nuove patologie, anche la mediazione ha subito modificazioni concettuali e tecniche in funzione delle esigenze emergenti sul campo.
Obiettivo globale del processo di Mediazione Familiare "Utilizzare il conflitto per favorire l'evoluzione degli individui sostenendo la crescita differenziata di ciascun membro della famiglia nel rispetto delle sue esigenze e della sua personale fase di sviluppo"

schema A

Se abbiamo assistito in quest'ultimo decennio ad un graduale incremento delle richieste di mediazione nei casi di separazione, contesto elettivo entro il quale si e' sviluppata, abbiamo registrato un aumento ugualmente significativo di richieste di intervento mediatorio in situazioni che esulavano dai divorzi ma che riguardavano altri contesti familiari.
Le problematiche sociali connesse a conflittualità familiari quali adozioni difficili, affido familiare, gestione dell'anziano o del paziente diversamente abile, hanno reso ugualmente necessario l'intervento di mediazione che, pur perseguendo sempre gli stessi obiettivi, che possiamo sintetizzare con la seguente definizione:
presenta in questi casi delle differenze metodologiche che interessano:
1) la struttura del setting,
2) la motivazione dei partecipanti,
3) il programma complessivo dell'intero processo di mediazione.
Per evidenziare le differenze con altri contesti familiari è necessario definire con precisione le caratteristiche dell'intervento di mediazione nei casi di separazione

Applicare la Mediazione in contesti familiari che esulano dalla separazione, ha permesso di sperimentare nuove metodiche che hanno ampliato il concetto stesso di mediazione. Nel caso che illustrerò, ad esempio, inerente la conflittualità intergenerazionale tra genitori e figli adottivi, mediare ha assunto il significato di avvicinare, incontrare, conoscere, capirsi, comunicare, cambiare.

a) Presentazione del caso
Lucia ha 15 anni, ne aveva dieci quando fu adottata da Carlo e Nunzia. Era, la sua, una esperienza di adozione tardiva: conosceva perfettamente i suoi genitori naturali, e il percorso che l'aveva allontanata da loro era irrimediabilmente doloroso. L'incontro con Nunzia e Carlo, una coppia sposata da circa 20 anni, le sembrava una liberazione salvifica, un disperato ancoraggio, l'occasione giusta della sua vita.
Nel caso del bambino più' grande l'adozione necessita di attenzione e competenza particolari sui passaggi inevitabilmente complessi.
Un percorso corretto richiede che al bambino sia spiegato il perché di un cambiamento sia al fine di ridurre l'ansia che per consentirgli di esprimere le sue emozioni. Il percorso della coppia adottiva, come già definito nella letteratura esistente sull’argomento, e' un percorso di autolegittimazione. Tutelare il bambino nella relazione adottiva significa non solo trovare per lui dei genitori legittimati da un Tribunale, ma anche in grado di autolegittimarsi come padre e madre di un figlio che non hanno generato. Ciò significa per la coppia aver superato le difficoltà del mancato percorso biologico con il considerare il percorso del desiderio come necessario e sufficiente a costruire un rapporto filiale, e quindi sentirsi a tutti gli effetti genitori di un bambino non nato da loro.

Caratteristiche dell'intervento di mediazione nei casi di separazione
  1. 1 setting: presenza di entrambi gli ex coniugi agli incontri;
  2. motivazione dei partecipanti: è fondamentale accertarsi che vogliano entrambi perseguire l'obiettivo di una “genitorialità condivisa”;
  3. programma del processo di me-diazione: deve contenere obiettivi precisi relativi a problematiche che hanno generato il conflitto;
  4. Intervento culturale: riguarda la possibilità di aiutare i genitori a percepire l’evento separativo come fenomeno socialmente riconosciuto e condiviso, quindi accettato; inoltre la separazione e' sottoposta ad una rivisitazione per favorirne sia l'elaborazione psicologica che una rilettura in termini di naturale tappa del percorso ciclico del sistema familiare;
  5. Assetto relazionale: la posizione dei componenti la coppia è paritaria sia in termini affettivi nei confronti dei figli che relativamente al potere decisionale;
  6. Sistemi coinvolti: sono generalmente tre, rappresentati dalle due configurazioni nascenti dalla separazione, il sistema materno e quello paterno, ed il sistema originario a cui solitamente si fa riferimento sia per conservare alcune modalità pregresse sia per modificarle.
schema B

Ma torniamo alla storia di Lucia.
Come talvolta accade nelle adozioni tardive, Lucia si era amabilmente adattata al modus vivendi della coppia, rispondendo perfettamente alle loro aspettative, amplificando le somiglianze, occultando le differenze: il suo processo di attaccamento dopo il lutto della separazione dalla sua famiglia naturale, era caratterizzato da una rapida appartenenza, come se cercasse, tra l'altro, di rappresentare il figlio ideale ed idealizzato della coppia. Questo considerevole sforzo, frutto del bisogno impetuoso di avere una famiglia tutta sua e a tutti i costi, si infranse con l'incedere del tempo e l'insorgere delle pulsioni adolescenziali che irruppero nei suoi affetti e nelle vite giovanili sommerse dei suoi genitori adottivi.
Se l'adolescenza rappresenta un banco di prova per il legame genitori e figli ed una minaccia per tutte le sicurezze faticosamente costruite durante l'infanzia, in quella piccola e fragile famigliola fu come un terremoto devastante e distruttivo. La naturale ribellione di Lucia era vissuta da Carlo e Nunzia come un tradimento ai patti iniziali che li avevano incollati come pastori su un presepe, le loro rigidità e le loro reazioni gelide risuonavano per la figlia adottiva come un eco assordante che risvegliava le voci urlanti dei suoi genitori naturali, spingendola violentemente nel suo passato.

b) Caratteristiche dell'intervento di mediazione nelle adozioni
Nel caso dell'adozione la conflittualità, che può svilupparsi tra genitori e figli, a differenza di quanto accade nella separazione coniugale (si rimanda il lettore allo schema B punto 5), vede i confligenti in due posizioni per definizione sbilanciate sia da un punto di vista generazionale che relativamente al potere contrattuale: cosa può fare il figlio adottivo se il genitore non cede sugli accordi? Può solo fingere di accettare i patti ma serbare un profondo rancore ed avere la conferma che essendo i suoi, genitori adottivi, genitori acquisiti, non naturali, non gli vogliono bene.
Entrambe le parti devono purtroppo fare i conti con i fantasmi e non con le persone reali (come accade nelle separazioni allorquando i rivali sono rappresentati dai nuovi partners): i fantasmi della famiglia adottiva sono i genitori naturali che molto spesso restano nell'anonimato. Cosa rappresentano quei fantasmi? Per i figli adottivi rappresentano la famiglia negata, quella impossibile, rifiutata ma desiderata, per i genitori adottivi degli sciagurati che hanno il dono della procreazione e non sanno cosa farsene, un provocatorio affronto.
In tali circostanze la motivazione alla mediazione (confrontare con il punto 2, schema B) è diversa che nelle separazioni: la disponibilità a cambiare, a mediare appunto, diminuisce in virtù del riconoscimento sociale: “siamo i genitori adottivi, siamo migliori di quelli che abbandonano i figli, cosa altro dobbiamo cambiare? Siamo quasi perfetti!!”

c) L'intervento del mediatore: dalla valutazione al progetto
Ritorniamo al nostro caso. Lo scenario descritto fu poi ulteriormente sconvolto dalla notizia di una gravidanza tutt'altro che inaspettata di Lucia: da tempo frequentava un ragazzino di un quartiere malfamato e quindi appartenente ad una pessima famiglia che Nunzia e Carlo conoscevano perfettamente: "il piccolo grande amore di Lucia" era il figlio di un noto boss della zona.
La complessità della intricata configurazione relazionale emergente, viene esposta con rassegnazione e sconforto dall'Assistente Sociale che intravide nella mediazione una possibilità concreta e percorribile per l'irrequieto trio familiare. Quasi ad invocare un "super operatore", una sorta di “giustiziere sociale” da "mission impossible", il Giudice del Tribunale per i minori nell'affidare il caso ai Servizi Sociali aveva richiesto una valutazione socio-ambientale che contenesse direttamente la soluzione! E' indubbiamente ironica la precisazione, ma volendoci confrontare con le realtà concrete accade che le situazioni più complicate vengano sbrigativamente liquidate con piccole frasi a margine di un foglio fax, magari illeggibile! D'altronde Lucia aveva già conosciuto precedentemente sia i servizi sociali che il tribunale per i noti e tristi eventi che avevano portato poi alla sua adozione. La richiesta del Tribunale era quindi molto accorata viste le precedenti esperienze della giovane.
La famiglia, che era riuscita a costruire una situazione cosi' avvincente da diventare "lo scoop" del più tranquillo comune della periferia napoletana, necessitava di una elaborazione culturale (in riferimento al punto 3, schema B, è utile precisare che la famiglia adottiva avrebbe dovuto accettare che Lucia era portatrice di valori diversi ed era quindi attratta da contesti molto lontani dalla loro provenienza socioculturale. I genitori adottivi di Lucia erano entrambi dei professionisti benestanti e di buona famiglia) prima ancora che psicologica delle sue vicende, e tale convinzione aveva sostenuto l'Assistente Sociale nell'orientare il piccolo nucleo verso un percorso di mediazione. La valutazione, sicuramente corretta dell'operatrice, comprendeva anche la richiesta istituzionale del Giudice e pertanto al mediatore spettava il compito di comprendere le ragioni del conflitto presente tra genitori e figlia adottiva.
Inizialmente il mediatore aveva richiesto di incontrare congiuntamente Lucia ed i suoi genitori adottivi ( confrontare la somiglianza al punto 1 dello schema B) rispettando le regole del setting mediatorio che vorrebbe appunto presenti le parti confligenti. Come tutte le mediazioni che si rispettino fin dall'inizio questa prima regola posta con garbo e naturalezza dal mediatore fu subito attaccata da tutti e tre ed ognuno per motivi diversi: Nunzia precisò che magari potevano andare in mediazione suo marito e Lucia, che non avrebbero avuto difficoltà ad esprimere i loro pensieri perché erano sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda!
La tagliente ironia mascherava la competizione di fondo tra Nunzia e Carlo sulla scelta adottiva: convintissimo lui, assolutamente scettica lei.
Carlo voleva invece essere solo con il mediatore perché aveva molte più questioni da esporre di quante gli altri potessero immaginare, mediatore compreso!
Lucia era in cerca di alleati, la sua belligeranza non trovava alcun contenimento soprattutto ora che doveva difendere anche il suo fidanzatino ed il bambino che attendeva con estrema trepidazione!
Quando finalmente comparvero dinanzi al mediatore le convinzioni di ciascuno furono presto chiare: Nunzia era assolutamente contraria al proseguimento della gravidanza di Lucia che, a suo dire era troppo giovane e inconsapevole per affrontare un evento di tale portata e poi,… “...con quel delinquente”..., ...non era lontanamente discutibile l'evenienza!
Carlo, mesto, mortificato, riteneva di non essere stato sufficientemente vigile sulla sua figliola, anche lui optava per l’interruzione in quanto condivideva l’analisi di Nunzia sulle capacità di Lucia, ma, a differenza della moglie, era disponibile a sostenere la giovane qualora avesse deciso di tenere il bambino.
Lucia era furiosa, non intendeva abortire per nessun motivo al mondo, voleva proseguire la gravidanza e la sua relazione con l'innamorato che era, a suo giudizio, persona amabile e degna di rispetto. La famiglia di questi era di umili origini, forse con qualche precedente penale, ma era molto unita, forse proprio perché era un clan.
Tre individui, tre aspettative diverse, tre prospettive di vita nessun punto in comune. Cosa e con chi mediare?
1) La relazione di coppia tra Nunzia e Carlo, che dopo un collaudatissimo ménage di oltre venti anni si ritrovavano per la prima volta in disaccordo?
2) Il rapporto tra Lucia e sua madre per far accettare le decisioni dell'una all'altra?
3) O ancora, chiarire la complicità tra Carlo e Lucia smascherando una volta e per tutte la triangolazione messa in atto per svilire la figura di Nunzia?
Questi interrogativi furono fugati dopo tre, quattro incontri iniziali, quando si profilò la possibilità per Lucia di essere affidata ai genitori del suo fidanzatino, i quali nell'intento di vigilare sull'erede, avevano inoltrato tale richiesta al tribunale per i minori.

d) Definizione dei sistemi da coinvolgere nella mediazione
Posto in questa prospettiva il futuro apparve immediatamente roseo per Lucia che poteva prendere “due piccioni con una fava”: vivere con il suo innamorato e questa volta essere lei a scegliere la famiglia in cui vivere. Tale soluzione, brillante per Lucia ma pessima per i suoi genitori adottivi, aprì un baratro tra le due famiglie: due autentici schieramenti opposti, culturalmente lontani, con linguaggi e modalità relazionali profondamente diverse. Il percorso di mediazione durò circa sei mesi, con incontri a cadenza settimanale. I genitori adottivi di Lucia non volevano vedere né il ragazzo né la sua famiglia e tale traguardo, l'incontro congiunto delle due famiglie con il mediatore, fu raggiunto solo verso le ultime fasi del percorso che si concluse con la definizione delle modalità di visita tra Lucia ed i suoi genitori adottivi. Qualche stralcio delle conversazioni, che ricorda vagamente una commedia di "Eduardo", è utile proporlo per far luce sui pregiudizi delle famiglie e forse, anche del mediatore.
La madre del fidanzatino di Lucia rivolta al mediatore:
“Dite pure alla signora Nunzia che io ho già cresciuto otto figli, e che non mi fa proprio "impressione" (tipica espressione partenopea per indicare l'assenza di paure, di timori) crescerne nove (Lucia) ed una dieci (il nascituro)”.
La madre adottiva di Lucia, durante un altro incontro, rivolgendosi al mediatore:
“Potete riferire alla signora che ne avrei fatti anche io otto, nove, dieci e ancora di più, se poi dovevo mandarli tutti a rubare per tirare avanti?!?!”
Ma cosa si mandavano a dire le due donne, che, senza saperlo, sembravano rispondersi a tono l'una all'altra? Era interessante notare che, nonostante non effettuassero incontri congiunti, ed il mediatore certamente non riferisse all'una i contenuti dell'altra, le due signore si sintonizzavano sulle stesse preoccupazioni!
Infatti, i pregiudizi della famiglia di Lucia vertevano sulle condizioni socio-ambientali: una famiglia notoriamente disonesta, con pochi valori e scarso adattamento sociale, non era certo idonea ad accogliere nuovi soggetti, magari, da diseducare!
Per l'altra famiglia, invece, una coppia che aveva allevato tanti figli era certamente più competente di una assolutamente sterile!
Ora forse toccava anche al mediatore confrontarsi con i suoi pregiudizi e superarli. Non era certo importante valutare quale famiglia fosse la più adatta secondo il suo giudizio/ pregiudizio, se quella normativa ma distante o quella affettiva ma disonesta.
Il suo obiettivo era quello di salvaguardare i sistemi di riferimento ritenuti significativi da Lucia e garantire la continuità relazionale con entrambi i nuclei. Il mediatore evidenziò che la giovane aveva un passato già sufficientemente sconvolto dall'imperizia degli adulti: i nuovi adulti della sua storia attuale avevano l'onere di essere migliori e con questa ridefinizione proseguì il percorso mediatorio.
Entrando nel merito dei pregi e dei difetti di entrambe le famiglie, cominciò a verificarsi uno "scambio" di qualità: i genitori di Lucia riconobbero che diventare nonni era la più grande gioia della loro vita, assumere una sorta di genitorialità in prestito, attraverso la gravidanza di Lucia, li aveva resi "prolifici" come l'altra famiglia. Quest'ultima pur di dimostrare la sua "onestà" accettò il lavoro proposto dall'assistente sociale al futuro papà, ed anche il nonno del nascituro cercò e fortunatamente trovò un lavoro più visibile: questa condizione era indispensabile per proporsi come famiglia affidataria del nuovo nucleo.
Quanti sistemi sono coinvolti nella mediazione nei casi di adozione?
( vedere il punto 6, schema B) In questo caso erano ben quattro sistemi: la famiglia adottiva di Lucia, quella del suo fidanzatino, la famigliola futura in cui si proiettavano Lucia e il nascituro con il suo giovanissimo papà, ed ultima, non certo per importanza, la famiglia naturale di Lucia: quasi a voler testimoniare la veridicità di tutte le ipotesi sviluppate sulle adozioni tardive, la futura mammina aveva trovato il modo di riagganciarsi al suo passato scegliendo una nuova famiglia che presentava le stesse caratteristiche socio-ambientali del suo nucleo originario.
Se la mediazione consente di
  • creare connessioni tra i diversi sistemi
  • favorire la nascita di una visione più ottimistica dell'evento che ha generato il conflitto;
  • acilitare la comunicazione tra i componenti coinvolti;
  • ascoltare le esigenze di ciascuno al fine di individuare soluzioni che risultino efficaci per tutti
Bold schema C


non poteva che risultare l'intervento più idoneo per affrontare la complessità del caso.
Infatti nei casi di adozione la mediazione risulta essere il luogo elettivo per

  • aiutare il minore a percepire l'adozione non come prova tangibile dell'incuria dei grandi o come effetto dell'abbandono da parte dei genitori naturali ma come la genuina disponibilità degli adottandi ad intraprendere una esperienza comune che li vede protagonisti della stessa storia in cui l'uno ha avuto bisogno dell'altro;
  • trasformare nella famiglia adottiva l'idea di essere famiglia di serie "b" solo perché bisognosa dei figli altrui per diventare famiglia e rivalutare la funzione genitoriale insita in ogni adulto che si prende cura di un bambino;
  • permettere ad entrambi, genitori e figli adottivi, di sviluppare, nonostante tutto, una profonda fiducia reciproca che rinsaldi nel dolore e nella consapevolezza un legame degli affetti che sia consistente almeno tanto quanto il legame biologico.
schema D

Concluderei ricordando un simpatico racconto di Sepulveda, "La gabbianella e il gatto", che ha sempre rappresentato per me la storia di una adozione riuscita. Anche il percorso di Lucia sembra giunto a buon fine, il suo disperato tentativo di appartenere poteva ritenersi almeno temporaneamente soddisfatto.
Le storie delle adozioni riguardano persone lontane, estranee che si avvicinano, si incontrano, si conoscono, cercano di capirsi e di comunicare, ma cambiare qualcosa del proprio piccolo mondo significa mediare i propri ricordi in nuove immagini per il futuro, le vecchie storie con quelle inedite che la vita ci riserva.

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