LA FUNZIONE GENITORIALE NELLE NUOVE CONFIGURAZIONI FAMILIARI:

I VANTAGGI DEL SETTING DI MEDIAZIONE

di Ester Livia Di Caprio Didatta Centro Studi Ecopsys- Napoli e di Paolo Gritti Direttore Centro Studi Ecopsys- Napoli ecopsys@libero.it

Introduzione
Attualmente, in Italia e nel mondo, non esiste una forma familiare unica: esiste un plurale familiare, ossia varie strutture familiari. La pluralizzazione delle forme familiari si configura come fenomeno complesso, rispetto al quale è innegabile l’inadeguatezza di strumenti di lettura e di analisi prevalentemente centrati sul modello tradizionale della famiglia nucleare. Ricercatori e clinici si confrontano con l’indispensabilità di approcci che possano affrontare la multiforme eterogeneità di questi nuovi coaguli relazionali. Le dinamiche delle nuove famiglie richiedono, evidentemente, un diverso linguaggio interpretativo. E’ necessario implementare il pool di modelli a disposizione nell’intento di adoperare nuove prospettive che rispettino la natura multidimensionale dei fenomeni sociali. Sono tali prospettive a promuovere la diffusione dei setting di mediazione o anche di counselling familiare come interventi privilegiati rispetto alla multidimensionalità. E’ stato, certamente, vantaggioso, in tale direzione, l’abbandono di una lente focalizzata sulla famiglia nucleare come modello di confronto e l’adozione di un’opzione metodica diversa che considera la famiglia nucleare come una delle possibili varianti del familiare nelle sue molteplici declinazioni organizzative.
Nella fattispecie, la mediazione per le cosiddette famiglie ricostituite o ricomposte, che dir si voglia, ha come obiettivo prioritario la restituzione ai genitori biologici della capacità decisionale all’interno della loro esperienza familiare. L’intervento di mediazione perviene a tale obiettivo sollecitando gli ex-coniugi ad una lettura della realtà possibilmente sgombra di connotazioni fin troppo tensive al fine di realizzare contatti più distesi tra i protagonisti delle nuove realtà familiari. L’approccio, per queste famiglie, si distingue da quello messo in atto nelle mediazioni di divorzio per la complessità anche strutturale della situazione connessa con il variegato intreccio dei legami. La posizione terza del mediatore è finalizzata non solo a garantire i figli ma anche a sollecitare gli adulti (genitori biologici e genitori sociali) all’individuazione dei propri ruoli e funzioni, compatibilmente con l’esercizio della competenza di ciascun attore della vicenda familiare.

Le nuove configurazioni familiari: la funzione genitoriale nelle famiglie ricostituite
Nell’attuale panorama delle molteplici declinazioni organizzative del familiare è possibile riconoscere talune configurazioni rappresentate da famiglie ricostituite (nuovo partner e figli dell’unione precedente); nuclei monoparentali; famiglie unipersonali (la schiera dei singles); i matrimoni misti.
Oggi, anche in Italia, come nel resto della società occidentale, non esiste una forma familiare unica ma una pluralità di forme familiari, che é difficile catalogare o, banalmente, etichettare.
La ricerca sulla famiglia si sta confrontando con l’innegabile presenza di tale pluralità familiare, evidentemente connessa con i veloci processi di cambiamento sociale, cercando di approntare nuovi strumenti di intervento clinico che consentono, altresì, anche una più accurata rilevazione della fenomenologia di tali assetti relazionali.
Si sta,dunque, implementando il repertorio delle opzioni metodologiche utili alla decodifica del funzionamento di tali nuovi contesti, per i quali, la progettazione di cura prevede la promozione e la diffusione dei setting di MEDIAZIONE o di COUNSELLING familiare come interventi privilegiati rispetto alle complesse organizzazioni della convivenza umana.
Per contesti non necessariamente clinici intendiamo sia i casi di divorzio, inteso nell’accezione di processo sociale multidimensionale, che quelli inerenti le nuove configurazioni familiari, le cui dinamiche sembrano richiedere un diverso linguaggio interpretativo. La nostra esperienza si avvantaggia, in tal senso, dell’utilizzo di setting di MEDIAZIONE o di COUNSELLING, rispettosi di un’etica del sociale sempre più caratterizzata da forme familiari diversificate, esiti, talvolta, di mutazioni relazionali, non necessariamente patogene, anche se foriere di cambiamenti ed inevitabilmente intrise di sofferenza.
A partire dalla dizione di famiglie ricostituite, diciamo subito che continua a non esserci accordo su una definizione che possa risultare pertinente ed esaustiva.
In genere si definisce una famiglia come ricostituita quando almeno uno degli adulti che formano una nuova coppia ha figli da una precedente unione.
Nella famiglia ricostituita complessa entrambi gli adulti hanno figli da una precedente unione.
Nella famiglia ricostituita semplice solo un adulto ha figli da un’unione precedente.
Si definisce una famiglia come ricomposta quando ci si riferisce all’insieme dei nuclei familiari che condividono la responsabilità verso i figli di precedenti unioni.
Una delle novità delle famiglie ricomposte attraverso un nuovo matrimonio od una nuova unione non necessariamente legalizzata, è quella di una diversa funzione genitoriale in senso allargato fondata su una genitorialità affettiva e non necessariamente biologica e legale: si possono creare, in queste famiglie, ulteriori legami che, divenendo significativi, integrano o addirittura sostituiscono legami precedenti considerati insufficienti o vissuti come precari.
Una delle caratteristiche di queste famiglie è che in esse non è possibile riferirsi a regole implicite, come nelle famiglie biologiche all’interno delle quali sembrano scontati sia gli schemi relazionali che le interazioni affettive. Cherlin (Cherlin,1978), sociologo americano sostiene che tali famiglie sembrano consolidate più dal consenso e dall’affetto reciproco, dalla mutua comprensione tra i membri piuttosto che dai controlli istituzionali. Il vincolo biologico o quello attinente il matrimonio smettono di essere i codici esclusivi attinenti la declinazione dei legami.
Naturalmente risultano essere molteplici gli interrogativi inerenti la dinamica dei processi relazionali che caratterizzano le configurazioni familiari ricostituite: chi è e quali sono i compiti, con figli non propri, del partner di un genitore affidatario? Come possono essere rese legittime le decisioni o, meglio, le competenze inerenti la gestione di una funzione simil-genitoriale?
Molte ricerche hanno studiato la figura del nuovo genitore (step parent) e delle sue modalità di adattamento al nuovo assetto familiare. Taluni studi evidenziano come il genitore acquisito incontri innumerevoli difficoltà soprattutto all’inizio del suo inserimento nella nuova famiglia: in tali difficoltà è possibile riconoscere le ambiguità e la confusione connesse con un ruolo assolutamente poco definito. Sembra che, però, col tempo il nuovo genitore apprenda stili comunicativi adeguati ed utili al miglioramento del rapporto con i figli del partner. Compatibilmente con il peculiare funzionamento di queste reti familiari, numerose ricerche dimostrerebbero la presenza di alcuni parametri positivi quali: adattabilità, flessibilità, esposizione a modelli di ruolo multipli, standard di vita più alti, nuovi fratelli, uno stepparent che diventa un nuovo punto di riferimento in aggiunta al genitore biologico (Francescato, 1996)
L’esistenza di una famiglia caratterizzata dalla molteplicità dei vincoli, moltiplica, ovviamente, il rischio di tensioni conflittive.
“Creare una fratria ricomposta riuscita e funzionale esige una considerevole quantità di lavoro da parte dei membri della famiglia”(Van Cutsem,1998).
L’intervento in tali contesti implica, pertanto, l’adesione a strumenti di cura diversificati rispetto a quelli della psicoterapia, all’insegna di logiche meno esaustive e più concrete. Si tratta, comunque, di modulare un paziente lavoro di ricerca di soluzioni sensate e adattive per ciascun componente e, naturalmente, più specificamente vantaggiose per i figli.

Il setting di Mediazione familiare sistemica
La MEDIAZIONE è, per definizione, un intervento centrato sui problemi e sull’aderenza al contesto ed orientato alla risoluzione di conflitti familiari, Il principio cardine nella cultura e nella prassi della mediazione è il principio della competenza, che si identifica con la capacità di ciascuno di essere protagonista delle proprie vicende esistenziali in maniera da governare non solo le difficoltà relazionali ma anche tutto ciò che è connesso con la complessità del vivere.
La mediazione per famiglie ricostituite prevede, innanzitutto, la restituzione ai genitori biologici di capacità decisionali altrimenti disperse dalla conflittività inerente non solo la disgregazione coniugale ma anche la coesistenza di nuovi legami. L’intervento di mediazione perviene a tale obiettivo aiutando gli ex-coniugi, seppure coinvolti in altre esperienze familiari, a mantenere integre le responsabilità come genitori, sulla scorta di un presupposto fondamentale: la continuità genitoriale, intesa nell’accezione di vincolo biologico generazionale e generativo e come tale indissolubile.
Il setting è organizzato in maniera da consentire un clima comunicativo disteso nell’intento di sollecitare una lettura degli eventi possibilmente sgombra da posizioni pregiudiziali. Molto spesso gli ex-coniugi si confrontano con il timore di essere espropriati nel loro ruolo genitoriale dal nuovo partner.
In queste famiglie, naturalmente, la complessità anche strutturale della situazione relativa alla presenza di un intreccio familiare più articolato, richiede un approccio differente dai casi di mediazione di divorzio. Confini, regole, interazioni, registri comunicativi sono, ovviamente, più fluttuanti rispetto ad una famiglia nucleare.
Il mediatore ha a sua disposizione una serie di possibilità nell’approntare il setting finalizzato all’incontro: può convocare soltanto i genitori biologici, oppure i genitori biologici e quelli sociali, con o senza figli.
La posizione, rigorosamente terza del mediatore, è finalizzata alla realizzazione di una serie di obiettivi quali:

- garantire i figli;
- guidare gli adulti (genitori biologici e genitori sociali) all’individuazione di ruoli e funzioni;
- rendere possibile l’esercizio della competenza di ciascun protagonista della vicenda familiare;
- evidenziare la distinzione tra genitori biologici e genitori acquisiti, dal momento che, spesso, costoro diventano dei punti di riferimento per i figli, senza per questo, essere costretti ad assumere responsabilità genitoriali.

Un utile criterio guida nella strutturazione degli incontri risulta essere quello del modello strutturale di Minuchin.
Un processo di MEDIAZIONE implica, per tali famiglie, la delineazione dei possibili sottosistemi:

- il sottosistema dei coniugi;
- il sottosistema dei figli del precedente e del nuovo matrimonio;
- il sottosistema della madre o padre affidatario e del figlio;
- il sottosistema del figlio e del nuovo coniuge.
Significa, altresì, considerare l’inclusione di altri componenti nella rete di relazioni e come si svolgono le interazioni significative all’interno del funzionamento coabitativo e non.
L’intervento è orientato alla definizione dei confini intrasistemici e intersistemici, che, spesso, possono essere ambigui, confusi, invischiati. Le proposizioni utilizzate provano a sollecitare la possibilità di revisionare i patti all’interno di una ridistribuzione più equa delle responsabilità e dei compiti. Le definizioni propositive sono, dunque, orientate a trasformare l’invischiamento dei confini in permeabilità: tale cambiamento sollecita anche l’attivazione di procedure utili alla negoziazione di regole indispensabili alla valorizzazione delle differenze all’interno dell’articolazione dei legami. Il contesto di mediazione promuove, altresì, stili comunicativi cooperativi al fine di realizzare condizioni di scambio e di comprensiva partecipazione. L’esperienza della reciprocità diviene, in tal senso, un aspetto fondante del progetto mediativo con le famiglie ricostituite o ricomposte che dir si voglia. Questo tipo di mediazione non preclude accessi a significati personali legati alla dimensione affettiva, senza mai perdere di vista, comunque, il perseguimento di obiettivi concreti e l’attivazione delle risorse personali.
Il processo è, naturalmente, circoscritto nel tempo. Al suo interno si individuano delle aree su cui intervenire e si esegue un percorso finalizzato ad un’escalation di problematiche da trattare all’interno di specifiche cornici di senso. Questo processo parte dal qui ed ora per proiettarsi nel futuro.

Il counseling familiare ad orientamento sistemico
Egualmente efficace può risultare un intervento di COUNSELLING familiare sistemico che mira ad incentivare le capacità di ricerca di soluzioni alternative sia da parte dei singoli componenti che da parte di tutto il network familiare.

Il counselling viene tradizionalmente inteso come un processo di interazione fra due persone, il counselor e l’utente, il cui scopo è quello di abilitare l’interlocutore a prendere decisioni rispetto a scelte personali. Una relazione di counselling si configura come un valido strumento di intervento nei casi in cui una persona viva una situazione più o meno profonda di crisi. In genere la crisi è considerata una situazione negativa, un momento di disorientamento, di sgretolamento di certezze, di oscuramento delle proprie capacità di adattamento e di soluzione dei problemi. In questa prospettiva l’evento crisi è interpretato in chiave riduttiva. L’etimologia greca del termine (Krinein significa:”decidere, scegliere”) ne amplifica il significato in maniera sostanziale soprattutto perché pone in essere la duplice accezione sia di possibilità, occasione sia di pericolo,ostacolo. In questa ottica la crisi può essere rivista come un’occasione di svolta, la possibilità di scegliere tra una gamma di opzioni, positive e negative. L’intervento di counselling è, dunque, finalizzato ad una rilettura delle situazioni critiche in termini di possibilità e ad un’attivazione delle risorse del soggetto.
Il counselling tratta, pertanto, delle aree dei conflitti relazionali, delle confusioni mentali, dei turbamenti emozionali in seguito a stress più o meno traumatici nei vari contesti di riferimento, sollecitando processi di autodeterminazione e di autonomia. Questo genere di approccio si occupa, dunque, di conflitti inerenti il contesto delle relazioni interpersonali. La possibilità di coniugarsi, da un punto di vista metodologico, con la prospettiva sistemica ne consente l'applicazione ai molteplici contesti delle organizzazioni familiari, con una particolare indicazione inerente le famiglie ricomposte.
La nostra esperienza in questo specifico campo si avvantaggia delle opzioni valorizzate da tale metodica e che possono essere così riassunte:
– un progetto di ricognizione delle informazioni esistenti e delle soluzioni tentate;
– la collocazione di ipotesi di soluzione all'interno dei sistemi che le richiedono;
– l'individuazione di tutto ciò che rende difficile il cambiamento;
– la molteplicità delle ipotesi

Il COUNSELLOR sistemico interviene in sistemi complessi adottando logiche che promuovono soluzioni e cambiamenti, orientando la comparsa di prospettive alternative e favorendo gli aspetti trasformativi. La sua prospettiva, nel nostro modello di applicazione, è altresì quella esplorativo-diagnostica rispetto ad assetti relazionali sicuramente più complessi, con giochi e schermaglie più ricorsivi, con coalizioni genitoriali più frequenti, con un numero di presenze parentali maggiori, con figli che spesso appartengono a differenti fasce generazionali. La nozione di metasistema familiare (Sager, C.J.,1987), a proposito delle famiglie ricostituite, definisce una rete di riferimento in cui sono comprese tutte le eventuali figure parentali coinvolte nell’intreccio dei legami.
Un protocollo abilitativo che valorizza, pertanto, sia i processi di adattamento che le potenzialità trasformative delle nuove aggregazioni familiari. Tale protocollo è altresì rispettoso delle identità dei protagonisti aiutandoli a gestire un ordinamento di realtà possibilmente coerente con le rinnovate logiche dei contesti. Le gestalt relazionali con cui il
counsellor sistemico si confronta sono molteplici e, come tali, possono essere il riflesso non solo di modelli familiari diversificati ma anche di richieste ambientali oltremodo differenti. Queste eredità impongono vincoli ma fornisono anche delle opportunità favorendo aspetti oltremodo evolutivi ed, in un certo qual senso, anche inaspettati. Il counselor sistemico, mobilitando risorse, risulta essere un attivatore di processi grazie ad una funzione oltremodo specifica che è quella di facilitare il dialogo, sostenere la reciprocità, rendere le soluzioni mutuabili. Il punto di vista che sostiene è sempre quello positivo nell’intento di sostenere posizioni propositive e progetti riorganizzativi.

Considerazioni conclusive
L’accento che, in questo contributo, viene posto sull’utilizzo dei setting di mediazione e di counselling familiare di marca sistemica nasce dalla convinzione che la complessa eterogeneità dei nuovi contesti di legame necessita di un atteggiamento, oltre che di un approccio, esplorativo-diagnostico sufficientemente rispettoso delle novità e dei cambiamenti con cui confrontarsi, e, rispetto ai quali, scatta un processo di apprendimento che si costruisce in itinere. Gli operatori con un taglio operativo di tipo sistemico, ne conoscono la portata quando si confrontano con alcuni limiti concettuali e metodologici connessi con anni di lavoro concentrato sullo studio dell’articolazione dei legami delle famiglie nucleari. Nella nostra esperienza prevale, dunque, l’idea di sostenere il vantaggio di setting, a maggior ragione osservativi, perché fondamentalmente ispirati da una prospettiva per così dire anche antropologica. Il quesito finale sarà: come saranno le famiglie del futuro e come si declinerà la funzione genitoriale in una società globalizzante?

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