APPUNTI PER LA TERZA CIBERNETICA Dal hic et nunc al timing, dal controllo della relazione all’empowerment


di Gennaro Galdo Direttore della Sezione Mediazione e Consulenza ISPPREF, Napoli isppref@itb.it

Da un po’ la questione del tempo mi ha preso. Probabilmente vedo anch’io, come Roth, che il secchio pieno di giorni che mi apparteneva non è più così pieno, forse per me è cambiato l’originario equilibrio tra ricordi e speranze oppure può darsi che stia per vivere mutamenti decisivi come spesso mi accade tra una decade e l’altra dell’esistenza.
Mi sono, dunque, messo ad ascoltare non il ticchettio dell’orologio ma il quieto respiro degli avvenimenti con il loro corredo emotivo.
D’altronde sento che mai come in questo periodo è possibile la fine della storia non come evento dovuto all’estinguersi della dialettica politica ed economica, ma come esito finale e disastroso dell’una e dell’altra; della lotta per il potere e dell’incessante conflitto con la natura alla quale sempre proponiamo (e sempre più spesso cerchiamo di imporre) bisogni infiniti laddove essa ci offre risorse limitate.
Cercherò dunque di esporre queste mie considerazioni, che ho chiamato appunti per sottolinearne la provvisorietà e l’incompletezza; entrambe richiedono, per essere risolte, un confronto che spero nasca in questa occasione e nelle molte altre a seguire.
Ciò che segue è, dunque, un tentativo, un po’ anarchico dal punto di vista del metodo, alla Fayerabend. Certo spero non un’accozzaglia di parole il cui senso può essere recuperato solo a un metalivello interpretativo da contenuto latente contrapposto a uno manifesto (se mai fatti e intenzioni lo permettano); ma neppure un insieme decisamente strutturato di affermazioni sostenute da eventi largamente riproducibili, statisticamente certi, quantitativamente misurabili. Come già ho scritto in precedenza nessun astronomo è mai tornato da un buco nero per raccontarcelo, nessun fisico è mai riuscito a riprodurre in laboratorio qualche fenomeno che avesse, sia pure solo larvatamente, un’attrazione gravitazionale così potente da non lasciare sfuggire neppure la luce e, per quanti sforzi facciano i matematici, formule ed equazioni dentro un buco nero sono poco o per nulla pensabili e rappresentabili.
Non vedo perché uno psicoterapeuta debba, nell’indagare fenomeni come quelli che descriverò nei paragrafi successivi, ricorrere al solo metodo sperimentale in senso stretto o al falsificazionismo per validare le sue affermazioni che, comunque, restano un’ipotesi di lavoro utile a produrre, nelle mie intenzioni, altre pratiche e apporti teorici concernenti l’argomento cha dà il titolo a questo mio contributo: la III cibernetica.
Una tensione essenziale vorrei fosse colta nella pagine che seguono: quella dell’interdisciplinarietà intesa come quella giusta distanza tra le singole specificità e i patrimoni culturali di ciascuna disciplina che permetta di evitare da un lato un egemonismo totalizzante e, dall’altro, il prevalere delle forze centrifughe con catastrofiche conseguenze solipsistiche sul piano scientifico. Quella giusta distanza che, invece, consenta alle singole discipline di interagire, reciprocamente influenzandosi, senza dar luogo a pacth-work ecclettici inutilizzabili e, talora, di crescere grazie al contributo di saperi anche lontani o di dar luogo a nuovi edifici teorico-pratici, qualità emergenti di relazioni scientifiche generative di nuove ipotesi teoriche, nuove pratiche, nuove epistemologie.
Se quanto detto è valido nel rapporto tra le discipline, a maggior motivo lo è nel rapporto tra le varie componenti, anche storicamente datate, di una stessa disciplina. Qui non siamo nel campo dell’incommensurabile come quando rapportiamo fra loro due psicologie, l’una appartenente al mondo intrapsichico, l’altra a quello delle relazioni. Pensiamo, ad esempio, alla nozione di soggetto e individuo. Per i freudiani quest’ultimo è solo una facciata esterna, per quanto importante, ma chi veramente muove le fila è il soggetto inteso come inconscio: molti individui non vivranno una vita loro, ma saranno vissuti dal loro inconscio, soggettivo quanto si vuole ma, purtroppo, inconsapevole, non presente alla coscienza.
Ora i sistemico-relazionali approcciano questo problema da un altro punto di vista: quello della famiglia.
Per loro gli individui esistono (nel senso etimologico del termine: sono presenti, ci stanno) solo in quanto componenti di uno o più insiemi e tra questi certamente la famiglia è il luogo sociale notevole per eccellenza. Ma il loro destino non appare più brillante degli individui freudiani: laddove questi sono vissuti dal loro inconscio soggettivo, gli individui sistemici sembrano essere mossi da fili relazionali, lanciati tra le generazioni, in senso sia verticale (temporale) che orizzontale (famiglie allargate).
Quale delle due metafore scegliere?
Ambedue sono utili nel senso di efficaci a trattare il disagio e la sofferenza e, se motivi di efficienza ci lasciano propendere per l’ipotesi relazionale, tuttavia esistono non poche situazioni cliniche dove l’impresa dell’approccio psicodinamico vale la spesa (in termini di tempo, denaro, energia) semmai sequenzialmente a una terapia con la famiglia.
Nel nostro caso all’interno della disciplina sistemico-relazionale siamo, invece, in presenza di nozioni e concetti vicini, complanari, quando non addirittura contaminati. Ad esempio, la parola cibernetica compare sia nella I che nella II cibernetica e prevedibilmente comparirà anche nella III. Si tratta di un semplice slargamento dell’alone semantico di un tema o piuttosto di un prodotto della complessità dell’esperienza e della riflessione teorica nel campo sistemico-relazionale? Il nuovo emerso nella II Cibernetica e che, ci auguriamo, emergerà nella III sussume la precedente come un caso particolare o è una sorta di proprietà emergente le cui caratteristiche sono largamente prevedibili a partire da quelle possedute dagli oggetti teorici che l’hanno preceduta? E la III cibernetica servirà a spegnere il fuoco come l’acqua o lo alimenterà come l’ossigeno e/o l’idrogeno che pure, dell’acqua, sono due elementi costituenti?
Personalmente penso che siamo nel campo della commensurabilità e sono convinto che, dall’epoca dell’enunciazione del principio di complementarietà di Bohr in avanti, se i fisici possono osservare e trattare la luce come composta da onde o da particelle, a seconda del punto di vista privilegiato, allora anche gli psicologi possono considerare ammissibili dualità nel loro campo di osservazione: la scienza non è fondamentalista, con le dovute eccezioni.
Ma ora entriamo nel merito, nel corpo “vivo” dell’oggetto scientifico III Cibernetica.
Utilizzerò per questo lo schema seguente e, fin d’ora, mi scuso con il lettore per il pressappochismo e l’eccessiva stringatezza dell’esposizione. Siamo ben prima del “medias res”, ancora nel magma prevalentemente pragmatico che precede l’emergere di un distinto edificio teorico. Qua e là si accendono pratiche nuove, ci si “annusa” ai convegni, si lavora anche e soprattutto fuori dell’ambito strettamente clinico (finalmente).
Illustrerò, dunque, breviter le parti dello schema qui di seguito riportato procedendo da sinistra a destra e dall’alto verso il basso nella migliore tradizione scientifica occidentale, laddove il passato ha da giustificare il presente, il senso della lettura va ordinata da sinistra a destra, senza saltabeccare, come fanno gli scienziati post-moderni, da una pagina ad un’altra da un paragrafo ad un altro.
Procediamo: (Schema a fianco)



Sorpresi? Vi aspettavate uno schema in orizzontale anziché in verticale? Come mai? Forse che la sensibilità dei vostri punti di vista si è un po’ arrugginita? Von Foørster nel suo discorso sull’etica (dal titolo non casuale Etica e II Cibernetica) non vi ha convinti a fornire occasioni anche all’improbabile, se non addirittura all’impossibile? Questo giochino (vezzoso: lo riconosco) può però servire ad accogliere un’ultima considerazione epistemica: la sorpresa è l’alba della cultura e della scienza. Lasciatevi sorprendere, utilizzate anche i vostri pregiudizi ma, quando potete, lasciatevi prendere anche da quelli altrui.
E, perciò, inizierò coerentemente dalle:

a) considerazioni sulle modalità di osservazione/gestione del tempo privilegiate.
Nella I Cibernetica l’attenzione era rivolta soprattutto, paradossalmente, alla persistenza al non-cambiamento, in altri termini ai feed-back negativi del sistema (la famiglia o altri gruppi sociali notevoli). Le ridondanze erano la sfida alla quale si doveva far fronte, laddove “gli altri” (analisti, psichiatri biologisti, cognitivi etc.) avevano fallito. Proporre un cambiamento per il terapeuta era quasi un atto di forza; Haley lo chiamò addirittura un’ordalìa: rapido, efficace, spesso definitivo, non al perché bisogna rispondere, ma a quel complesso di soluzioni peggiori del problema nelle quali la famiglia s’era ritrovata impantanata in un groviglio assai difficilmente districabile.
Passò qualche anno e comparvero i costruttivisti, costruzionisti sociali, radicali o meno, che co-costruivano, co-conversa(va)no, con il/i cliente/i (anche individui questa volta). In queste circostanze il tempo viene gestito prevalentemente attraverso il concetto di Ciclo Vitale della famiglia, di un individuo, dello stesso percorso terapeutico. Le ridondanze si dispiegano a formare un tempo talora (spesso) lineare, altre volte ciclico e, meno frequentemente, a spirale. Un tempo per risalire o riscendere da una generazione ad un'altra, dove gli stessi comportamenti e le stesse emozioni o, meglio, gli stessi sentimenti, possono portarci più su o più giù nel senso di fare di noi persone più o meno competenti, serene, efficaci, purchè sia rispettato il principio dell’accoppiamento strutturale con il contesto circostante; pena la disfunzionalità di miti, etiche, sogni che un tempo (e, se mai, anche in un tempo nel futuro, chissà) avevano determinato il successo della famiglia in trattamento. E proprio qui viene il bello. Una volta che lo si è “spiralizzato” il tempo tende ad espandersi, a perdere quell’aspetto filiforme nel quale l’abbiamo costretto e ad assumerne un altro a “bolla”, una bolla temporale dove operatore e cliente insieme contribuiscono a costituire un sistema operativo (clinico, consulenziale, mediativo o altro), si sollevano quasi dalla realtà e con modalità equifinalistiche vagano nello spazio offerto dagli avvenimenti possibili. Qui il tempo viene osservato/gestito secondo una modalità che il termine anglosassone timing rende meglio di ogni altra. Termine intraducibile (per ora) se non ricorrendo a una parafrasi: gestione multidimensionale del tempo.

b) gli obiettivi dichiarati
Nella I Cibernetica l’obiettivo dichiarato più importante che viene affidato al terapeuta è il controllo della relazione. In poche parole ci si aspetta che il terapeuta, ai tentativi più o meno consapevolmente manipolatori del sistema cliente, corrisponda non accettando l’escalation simmetrica o, peggio, colludendo con le modalità disfunzionali per affrontare il/i problema/i che i clienti hanno, per conto loro, elaborato nel corso degli anni. Per esempio, di fronte ad una coppia estremamente conflittuale non ci si potrebbe porre, da parte del terapeuta, con un atteggiamento one-up, di sfida, a imporre il silenzio o, comunque un tono di voce conciliatore finalizzato al costituirsi di un contesto collaborante. Non si può neppure colludere con il “bisogno di giustizia” di entrambi i contendenti distribuendo pareri giudicanti a destra e a manca. Il primo passaggio semmai può essere quello di una ridefinizione in positivo del sintomo: “Bene, non c’è di meglio che una coppia focosa per affrontare problemi così spinosi come i vostri. Certo si fa fatica a parlare, ma così si evitano chiacchiere inutili!”. Oppure utilizzare, in forma provocatoria, un metodo di lettura diverso dagli avvenimenti. “Signora, ma si rende conto di quanto diventa affascinante per suo marito quando si arrabbia? E’ interessante osservare lo sguardo desiderante di quest’uomo che si accende al massimo quando sua moglie urla e lo insulta”. E, di fronte all’ovvio diniego del marito, rispondere:” Sicuro, chi disprezza vuol comprare. La rabbia è molto spesso una forma non lineare di comunicazione attraverso la quale si fa strada un desiderio negato o represso; d’altronde l’amore si nutre di sentimenti forti ed è costitutivamente un’emozione ambigua che si può rapidamente trasformare nel suo inverso: l’odio”. In un contesto maggiormente orientato alla II Cibernetica, il terapeuta non può fare a meno di considerare se stesso come parte del sistema terapeutico venutosi a creare con l’incontro tra la coppia e il terapeuta stesso.
Anche qui può giocare un ruolo importante l’ironia e la provocazione: ”Perché siete venuti qui a pagarmi mentre vi vedo fare le stesse cose che fate a casa?” oppure tentare di rileggere gli avvenimenti alla luce di un filo conduttore diverso dal conflitto fine a se stesso: ”Se è vero che ci sono quattro diversi matrimoni in una stessa coppia (lo svincolo dalla famiglia di origine, il conseguimento di un’autonomia professionale e personale, la nascita e l’educazione dei figli e, infine, quando questi, una volta cresciuti, vanno via, quello delle affinità elettive), mi sembra che voi siete tra la seconda e la terza fase, quando fisiologicamente esplodono dei conflitti che sono finalizzati alla ristrutturazione dell’insieme delle regole implicite ed esplicite che governano la convivenza matrimoniale. Ricordo che anche a me successe una cosa del genere: scoppiò improvvisa la “guerra delle merendine”…
In un’ottica da III Cibernetica, si deve necessariamente dare la precedenza alle risorse e alle competenze della coppia. Un litigio non dovrebbe semplicemente essere interrotto, né solo ridefinito, quanto facilitato, nei limiti del possibile, valorizzato. “Riuscite sempre a dirvi quello che pensate l’uno dell’altro in modo così esplicito?”. “Quando litigate percepite più distintamente la presenza e i bisogni dell’altro/a?”. “Confliggere è sempre stato un utile strumento di confronto nelle vostre famiglie di origine? Chi, secondo voi, se ne è avvantaggiato di più, i maschi o le femmine, i genitori o i figli?”.
L’idea è che i sistemi umani sono neghentropici e che prima o poi (meglio prima, ovviamente) ritrovano equilibri e soluzioni che non sanno di possedere ma che sono in grado di mettere in campo in tempi ragionevoli se opportunamente sollecitati e supportati. Questo risulta particolarmente evidente se si utilizzano strumenti del tipo “time-out”. I due litigano e voi è come se non fosse presenti? Ebbene, con una scusa plausibile (la segretaria, un’importante telefonata, una necessità banale tipo un bicchiere d’acqua) uscite. Nel 90% dei casi quando, dopo qualche minuto, rientrerete troverete un contesto assai più accogliente.
Se la coppia che state incontrando rientra, invece, nel 10% refrattario, allora, se non altro, avrete avuto più tempo in un contesto meno coinvolgente per pensare a strategie utili all’empowerment dei vostri clienti.
Può, così, nell’uno (cessazione del litigio) e nell’altro (continuazione del litigio) caso emergere e “funzionare” una delle principali proprietà dei sistemi viventi: la neghentropia (o entropia negativa), proprietà per la quale tutti noi, finchè siamo vivi, tendiamo ad autoripararci. Vedi, ad esempio, la somministrazione di antibiotici ad un paziente colpito da una malattia infettiva da batteri. Se il paziente non “mette in campo” il suo sistema immunitario, gli antibiotici da soli non sono in grado di debellare i batteri patogeni: sono i globuli bianchi e gli altri strumenti di difesa del sistema immunitario che, in presenza di antibiotici, possono con maggior probabilità di successo aggredire e liquidare gli agenti infettivi. In questo senso il medico (il terapeuta, il mediatore, il counsellor, il coach) non fanno altro che aiutare la natura a fare il suo corso.
Il time-out non ci piace? Sempre agendo sul fattore tempo ricorrete al “metodo della navetta” utilissimo per sequenziare la relazione tra i due coniugi. Collocate i due in stanze diverse e fate la spola tra l’una e l’altra per aprire e mantenere uno spiraglio comunicativo utile. Questo metodo, suggeritomi da Morrone in un contesto di mediazione, mi è sembrato utilissimo anche in occasione di momenti difficili di psicoterapia di coppia.

c) la/le pratica/che
Prescrizione paradossale, ridefinizione in positivo, rituali, evidenziazioni di doppi messaggi sono solo alcuni degli strumenti pratici elaborati e utilizzati dalla I Cibernetica. Rinvio a testi classici per un approfondimento della questione; cito per tutti “Pragmatica della comunicazione umana”, “Prospettive relazionali”, “Para-dosso e controparadosso”, ”Il dizionario delle terapie familiari”. Tutti questi strumenti, per quanto efficaci, ripropongono una separazione tra curanti e curati, osservatori ed osservati, terapeuta (equipe terapeutica) e famiglia. Separazione non perfettamente in linea con la teoria e i presupposti epistemici dell’approccio sistemico-relazionale. Si pensi al concetto di sistema terapeutico, il terzo pianeta, costituito appunto dalla famiglia e dal terapeuta. E’ quando questo scenario si struttura, che possono evidenziarsi delle potenzialità inespresse, manifestarsi delle proprietà emergenti secondo il principio della non-sommatività (l’insieme non è dato dalla semplice somma della parti che lo costituiscono).
La sola presenza relazionale del terapeuta cambia le carte in tavola per lui e per la famiglia. Insospettate energie, inconsapevoli stratagemmi, non ancora emerse pragmatiche vengono alla luce, purchè vi sia una disposizione “serendipitosa” ad accogliere oggetti che non si cercano; oggetti mentali (pensieri, punti di vista, emozioni, sentimenti) e perfino fisici (nuove prossemiche, posture, oggetti metaforici etc.). Il nuovo, ribadiamo con Medawar, non è dato da ragionamenti induttivi e/o deduttivi, bensì da procedure abduttive, brain stroming ben condotti, motti di spirito e ironia che tutelino le persone e colpiscano funzioni inadeguate. Imparare a imparare (deuteroapprendimento) è il risultato raggiunto per prove ed errori, dall’accoppiamento strutturale del terapeuta che rende possibile un’esperienza alla famiglia che, a sua volta, istruisce (direttamente o meno) il terapeuta. Tra i risultati possibili di questo percorso vi sono un incremento della creatività e della flessibilità, una sia pur lieve modificazione dei presupposti epistemici dell’esistenza, sia dei componenti della famiglia che del terapeuta.
Siamo, qui, in piena II cibernetica. Strumenti come il genogramma, la risonanza, la metaforizzazione sono elaborati, influenzati e resi operativi conseguentemente a una sorta di principio di complementarietà (Bohr) applicato al campo della psicologia relazionale.
Osservatore e osservato, terapeuta e cliente si influenzano vicendevolmente; cambiamenti di punti di vista e di strumenti di osservazione mutano l’oggetto osservato e quasi impongono un atteggiamento etico: qual è il punto di vista più utile alla relazione terapeutica? Genogrammi e mappe relazionali vengono redatti anche allo scopo di evidenziare nuovi intrecci possibili, nuove storie prima nascoste, potenti derive che spingono famiglie e gruppi verso direzioni e mete usuali per quanto dolorose. Tocca al terapeuta utilizzare queste derive per permettere nuove narrazioni, colpi di scena e percorsi più flessibili e articolati. Per agire in questo senso, il terapeuta ha a disposizione strumenti importanti come la risonanza, definendo per tale la sua capacità di utilizzare parti di sé emergenti nella relazione terapeutica per restituirle al/ai partecipanti così da ingenerare un processo (vedi procedure diagnostiche) di tipo stocastico laddove i memi svolgono nel mondo relazionale del paziente (e del terapeuta) le stesse funzioni (e sono sottoposti a procedimenti simili di ricombinazione) che nel mondo biologico svolgono i geni.
La III cibernetica, fondata dal punto di vista operativo, sull’empowerment, fa un altro passo verso l’evidenziazione, l’implementazione e la messa in opera delle risonanze proprie del cliente. Il ruolo del terapeuta/operatore relazionale (mediatore, consulente, coach) diviene più sfumato anche se non meno essenziale, si tiene più sullo sfondo. Alcuni arrivano a parlare di facilitatore (o di funzione di facilitatore del terapeuta, del mediatore, del consulente) per mettere in risalto il compito pratico del terapeuta/operatore relazionale: restituire competenze alla famiglia, nel caso della terapia attraverso la ristrutturazione complessiva dell’insieme delle relazioni e/o dell’intra-psichico del/dei paziente/i, nel caso della mediazione e del counselling attivando la famiglia, i gruppi, i singoli a mettere in primo piano competenze più adatte per assolvere a compiti specifici con obiettivi più limitati.

d) qualità del tempo prevalente
Come è noto il tempo della I Cibernetica è contratto all’hic et nunc, all’istantanea realtà dove, al più, solo il passato prossimo e l’immediato futuro strutturano uno scenario più articolato sul piano temporale.
Il privilegiare un atteggiamento e una modalità operativa di tipo strategico fa sì che il passato remoto, gli avvenimenti che hanno preceduto il dispiegarsi dei pezzi sulla scacchiera del setting clinico, siano ininfluenti per l’agire terapeutico.
La prescrizione paradossale del sintomo “lavora” in una dimensione quasi atemporale. Qui non hanno importanza le storie che hanno preceduto l’attuale conflitto cronico della coppia, né è prevedibile quello che succederà nel futuro (se i coniugi riusciranno o meno a eseguire la prescrizione paradossale di mettere in atto il loro litigio o se si asterranno dal farlo o, meglio, lamenteranno di non esserci riusciti). Il fuoco dell’attenzione del terapeuta è tenuto sugli input (la prescrizione) e sugli output (l’esecuzione o meno del compito con i suoi correlati relazionali); in mezzo una scatola nera che, per definizione, non ci dà alcuna informazione, tantomeno sul passato.
Quando, nella II cibernetica, lo scenario cambia e l’uso privilegiato del linguaggio fa sì che il tempo si dipani quale trama costitutiva di una storia, allora passato, presente e futuro riacquistano i primi posti nella rappresentazione clinica. Compaiono espressioni quali “ciclo vitale”, “conversazione felice”, “narrazione”. Là dove c’è il racconto, c’è il tempo della storia che procede, per quanto si sia abili sul piano retorico, in senso lineare: passato, presente, futuro.
Narrarsi nella terapia apre nuove possibilità di autorappresentarsi e rende accessibili nuove visioni del mondo. Qui, nell’agire terapeutico, ha la meglio tutto ciò che ha a che fare con la ridefinizione di sè o del/problema/i.
Ridefinizione che può essere colta, perché già presente, nel sistema trigenerazionale della famiglia cui apparteniamo. Il terapeuta familiare della II Cibernetica non interpreta in senso ermeneutico, secondo un codice più o meno prestabilito con pretese di scientificità. Egli, piuttosto, evidenzia nuove trame possibili, relazioni nascoste, miti taciuti e/o resi inconsapevoli da avvenimenti spesso casuali (morti precoci, improvvise e improvvide ricchezze, etc.) ma, talora, anche inscritti nei memi familiari (lealtà transgenerazionali, pregiudizi culturali, etc.) e offre così nuove letture del reale e, conseguentemente, nuove prassi e nuove modalità del conoscere.
La III Cibernetica è a un passo e il ponte che là ci conduce è quel particolare fenomeno chiamato risonanza, che può essere così descritta.
Nella prima fase il terapeuta dovrebbe essere capace di entrare in una condizione di vacuità. Non si tratta solo di rinunciare alla propria maschera di clinico ma anche, per quanto possibile, di rinunciare a esercitare il senso critico e l’adesione all’io virtuale nel quale così facilmente ci identifichiamo.
La psicoanalisi ci propone un metodo tuttora valido: quello dell’attenzione fluttuante. A mio parere si potrebbe aspirare a qualcosa di più. Per un terapeuta familiare non dovrebbe essere poi così difficile né pericoloso mollare, durante la seduta, gli ormeggi che lo legano alla propria identità e lasciarsi portare dal vento e dalle correnti di deriva della famiglia che incontra. Ciò gli dovrebbe consentire di rendere più facilmente elicitabili sensazioni, episodi, storie che riguardano la propria famiglia d’origine, metro sul quale, di solito, valutiamo per somiglianza o differenza, le famiglie altrui. Attraversata questa seconda fase abbiamo la possibilità di riproporre ciò che riteniamo utile del materiale psichico che precedentemente è venuto a galla, nel modo che riteniamo utile (direttamente come un racconto o indirettamente con una metafora, un motto di spirito, etc.) alla relazione terapeutica. Il più delle volte segue, quando entriamo in risonanza con la famiglia e/o l’individuo che a noi si sono affidati, una fase destrutturante: un punto di vista privilegiato si dissolve e, talvolta, l’intero apparato epistemico (perfino parti del nostro ) va in crisi. A questo punto entra in gioco la neghentropia propria di tutti gli esseri viventi: la naturale predisposizione alla riparazione di sé e, conseguentemente, la riasserzione di un nuovo possibile punto di vista da parte della famiglia e/o del singolo cliente. Qui interviene l’etica. Il terapeuta deve chiedersi: “Ciò che è avvenuto, secondo la mia esperienza, aumenta o diminuisce le possibilità dell’accadere nella vita delle persone che mi hanno chiesto di aiutarle? Se la risposta è positiva non resta che procedere nel percorso terapeutico; una risposta negativa implica, invece, l’opportunità di attivare nuove e diverse risonanze. In un contesto così delineato è possibile rappresentare il transfert analitico come un caso particolare di risonanza. Di fatti ”essere il padre” di un paziente e dunque permettere la riedizione transferale di un evento traumatico del suo sviluppo psicosessuale è, a mio parere, possibile solo se alcuni aspetti della relazione con il proprio padre da parte del terapeuta entrano in risonanza con l’esperienza del cliente, quel che Freud chiama “riedizione dell’evento traumatico” può, dal nostro punto di vista, essere letto come una particolare modalità di condividere tra paziente e analista questi omeomorfismi: ecco che il tempo da lineare tende a proporsi, in funzione delle ridondanze come spirale. Se poi ricorriamo all’uso del ritmo degli scambi relazionali per strutturare il contesto, così come nell’eseguire una partitura musicale, (si pensi a “Le quattro stagioni” di Vivaldi, ad esempio,dove è il ritmo più che le stesse note a descriverci il naturale succedersi delle stagioni) e, ancor di più, se indirizziamo la sequenzialità degli eventi nel percorso terapeutico così da proporre con tempestività temi e argomenti da affrontare (non troppo presto né troppo tardi così da tutelare la relazione terapeutica) allora potremo percepire il progressivo dilatarsi di questa spirale fino a costituire una vera e propria bolla temporale nella quale noi e la famiglia, il sistema terapeutico che insieme abbiamo costituito, ci ritroviamo immersi.
In questa bolla temporale il tempo non è lineare: vi sono giorni che valgono anni e, al contrario, anni che valgono giorni. Qui possiamo muoverci, dunque, avendo come struttura formale di riferimento non solo e non tanto i contenuti, ma le modalità di gestione del tempo: ritmicità, ridondanza, sequenzialità, linearità del tempo sono movimenti di una danza che ci coinvolge con la famiglia e/o l’individuo in terapia. In un certo senso possiamo insieme spazializzare il tempo con una scultura o viceversa temporalizzare lo spazio attraverso l’uso di spunti narrativi e figure retoriche (metaforizzazioni).
La coreografia di questa danza è il risultato imprevedibile del lavoro comune tra noi e il/i paziente/i, frutto di un pensiero abduttivo e, dunque, creativo, un pensiero che privilegia menti preparate a scoprire spesso ciò che non cerchiamo e che, però, si presenta inaspettato davanti ai nostri occhi, a portata di mano eppure raggiungibile solo se siamo “serendipitosi” e non troppo affezionati alle nostre idee di partenza.

e) Epistemologia
Degli aspetti epistemologici molto si è detto all’inizio di questo contributo. Ci tornerò in modo più didascalico così da chiarire ulteriormente il mio punto di vista e fissare dei paletti di riferimento orientativi. Dal punto di vista gnoseologico la I Cibernetica fa riferimento al concetto di scatola nera: non è possibile osservare da vicino l’apparato mentale così da comprenderne caratteristiche e dinamiche. Quello che ci interessa sono gli input ma soprattutto gli out-put, le retroazioni. La gnoseologia della II cibernetica lascia spazio a qualche spiraglio, il paradosso autoreferenziale dell’apparato mentale (come può un oggetto conoscersi facendo esclusivamente ricorso a strumenti che lo compongono strutturalmente, strumenti quali il linguaggio, sia pure estremamente articolati e sofisticati?) può essere messo in discussione e, almeno parzialmente, superato tentando di leggere e condividere con l’altro parti essenziali di sé e dei gruppi con storia (familiare e non) cui si è appartenuti. Compare il concetto di “io virtuale”, sub-identità, pratiche conversazionali e modalità ermeneutiche e introspettive. Nella III Cibernetica le modalità del conoscere forse saranno più legate al ritmo del funzionamento dell’apparato mentale: perché e, soprattutto, come succede che il bioritmo della mente può funzionare più o meno velocemente, in modalità sincrone, agendo sulle sequenzialità del pensiero, con ritmi più o meno intensi etc.?
E alcune modalità del conoscere (si pensi ai messaggi subliminali) non sono, forse, più legate a fattori temporali piuttosto che contenutistici?
Per meglio dire: alcuni contenuti passano più facilmente se sono proposti con modalità subliminali, implicite, altri rallentando il tempo attraverso la ridondanza e l’esercizio dell’attenzione, altri ancora tornando indietro nel tempo legandoli a emozioni vissute dal paziente in fasi del ciclo vitale precedenti a quella nella quale è immerso mentre si struttura la relazione terapeutica.
Sul piano metodologico, se la I Cibernetica si è strutturata principalmente intorno a concetti quali l’osservazione del sistema-paziente, la II ha posto l’attenzione sul sistema terapeutico e sul ciclo evolutivo con una netta rivalutazione del linguaggio quale strumento e metodo di intervento, la III ripropone la pragmatica, l’attivazione quale metodo non solo di intervento, ma di lettura degli avvenimenti.
Quanto al contesto socio-culturale, non dimentichiamo che la prima cibernetica è nata e si è sviluppata in un mondo bipolare, quello della guerra fredda e della contrapposizione frontale di due sistemi economici e ideologici irriducibili l’uno all’altro; la seconda cibernetica si radica in un contesto dialogico, interdisciplinare, teso a valorizzare le storie di ciascuno, laddove la terza cibernetica si struttura in un mondo multipolare, globalizzato, estremamente interdipendente dove“ il battito delle ali di una farfalla in Brasile può dare luogo ad un tifone negli USA”.


Conclusioni

1) III Cibernetica e mediazione
La mediazione non è la figlia di un dio minore dell’Olimpo sistemico-relazionale, quanto una specifica modalità operativa che, pur utilizzando concetti e strumenti assunti dal mondo della clinica, altrettanti ad essa ne offre quali spunti di riflessione e pratiche nuove.
La psicoterapia non è una modalità operativa più profonda, ma occupa uno spazio altro, più laterale semmai, concernente gli ambiti di problemi e soluzioni forse più complessi ma giammai più raffinati.
2) III Cibernetica e consulenza
Come è noto uno dei fattori operativi principali del counselling è l’empowerment, per sviluppare il quale è decisivo un buon timing dell’attività consulenziale. Infatti, a partire dalla tempestività della scelta degli obiettivi rispetto ai quali promuovere le capacità del cliente, tutto l’agire consulenziale è caratterizzato da un timing che non può essere trascurato: gli stessi ritmi e durata degli incontri assumono particolari caratteristiche nel counselling, non riscontrabili nelle regole canoniche della mediazione e /o della psicoterapia così come l’attento uso di metodiche sequenziali per dirimere la complessità dei problemi presentati dal cliente non trova riscontri in altri tipi di relazioni d’aiuto. Nel contesto,poi, di ciascun incontro consulenziale è importante poter accedere anche ad un tempo lineare, lasciando spazio alla narrazione degli eventi da parte del cliente e alla descrizione, attraverso un genogramma trigenerazionale dei problemi e delle risorse della famiglia che ci chiede aiuto così come dei suoi memi e dei suoi miti.


BIBLIOGRAFIA

  • Roth Philip (2004) “Lindbergh e Hitler. Ecco gli incubi che la mia America non dimentica” Intervista di Lina Manera comparsa sul Corriere della Sera del 24.10.2004

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