ADR E MEDIAZIONE FAMILIARE IN EUROPA

di Isabella Buzzi
Dottore in Psicologia e formatrice professionale ADR, Mediatrice familiare, Conciliatrice presso la CCIAA di Milano, Presidente AIMEF Associazione Italiana Mediatori Familiari
tdlisa@libero.it

Questo intervento si divide in due parti, dapprima viene illustrata una panoramica europea, quindi si passerà a una illustrazione della situazione italiana.
Verrà dato uno sguardo all’Europa, cioè si osserverà come l’Europa stia recependo quelle che, in un mondo che parla l’inglese, vengono universalmente definite ADR, ovvero forme alternative al percorso giudiziario per la risoluzione delle dispute: Alternative Dispute Resolution. Questo perché innanzitutto, con la convenzione di Strasburgo nel 1995, è stato raccomandato alle nazioni che in Europa si preparavano ad affrontare una comunione anche dal punto di vista legislativo, di creare dei progetti di introduzione delle ADR e questo è stato raccomandato anche e soprattutto nel campo familiare. Poi, più recentemente, nel 1998, è stata emessa una raccomandazione europea da parte del Consiglio d’Europa sulle ADR. La mediazione familiare fa parte delle ADR (osservare fig. 1).



Questo cappello introduttivo sulla regolamentazione europea è importante perché solleciterebbe anche l’Italia, come nazione facente parte degli Stati Europei, a dirigersi con maggior coraggio verso queste forme di gestione del contenzioso che vogliono affrontare la conflittualità da un punto di vista meno “di schieramento” e più “di comprensione” delle esigenze dei singoli oltre che quelle della comunità.
Occorre, tuttavia, fare una piccola differenziazione tra mediazione familiare e ADR. Le ADR vedono la mediazione dei conflitti come una delle forma da adottare, infatti a questa se ne affiancano alcune altre, tra cui soprattutto l’arbitrato; troviamo l’introduzione delle ADR anche nel mondo lavorativo (in Italia, ad esempio, sarebbe potuta essere una buona occasione la diffusione della mediazione dei conflitti nell’ambito della conciliazione presso gli Uffici Provinciali del Lavoro), nel mondo aziendale e societario, nelle comunità (per quanto riguarda conflitti che possono nascere dalla creazione, per esempio, di un supermercato molto grande in una precisa zona dell’area cittadina, oppure il passaggio di cavi dell’alta tensione in zone turistiche, e così via). Poi c’è l’area commerciale e delle controversie di consumo (in Italia è quella che viene portata avanti soprattutto dalle Camere di Commercio), c’è la mediazione penale, soprattutto minorile, che all’estero viene definita VOMA, e tutta l’area scolastica, che comprende la gestione dei conflitti già in corso, la sua prevenzione, e che vede coinvolti solo gli studenti, o più in generale può interessare dagli studenti alle famiglie degli studenti, il personale docente, il personale non docente e la comunità.
L’area della mediazione familiare è possibile, ancora una volta, distinguerla tra “mediazione familiare in casi di separazione e divorzio”, e “mediazione familiare in tutti gli altri casi”, ovvero sia tutte quelle situazioni conflittuali che potrebbero ingenerare dei conflitti tali da dover venire gestiti dal giudice in tribunale, quindi può trattarsi, ad esempio, di mediazioni relativamente a divisioni ereditarie (quest’applicazione della mediazione è molto diffusa, soprattutto in Germania), mediazioni in casi di conflittualità relativamente a un grande anziano da ospedalizzare o da interdire, o mediazioni, per esempio, tra famiglie ricomposte, oppure mediazioni tra adolescenti e genitori, o addirittura in caso di rapimento di minori da parte di genitori di differente nazionalità, e per finire, anche tutto quello che in Italia rientra nella mediazione sociale.
Un’altra area di interesse è quella del counseling in ambito familiare, che è abbastanza affiancato alla mediazione dei conflitti in quanto si fonda su principi operativo-etici non dissimili e aiuta ad affrontare la conflittualità anche i singoli che non riescono a coinvolgere in mediazione le controparti.

I modelli di mediazione familiare in Europa
Per la mediazione familiare in casi di separazione e divorzio, i modelli europei sono principalmente tre. Uno è il modello di Problem Solving che, a volte, viene definito anche come Mediazione Strutturata (dal suo ideatore Jim Coogler) oppure Mediazione Negoziale (dal suo diffusore John Haynes). Questo modello, di derivazione statunitense, è il più diffuso negli Stati Uniti e in Europa, soprattutto negli Stati del Nord Europa che come la Gran Bretagna sono favoriti dal tramite linguistico.
All’inizio negli Stati Uniti, a cavallo degli anni Sessanta e degli anni Settanta, la mediazione familiare è stata praticata soprattutto da operatori che facevano parte della categoria definita della Salute Mentale, quindi potremmo in parallelo citare gli assistenti sociali, i terapeuti, gli psicologi e gli psichiatri. Grazie a questo coinvolgimento nacque un secondo modello, quello Clinico, che venne diffuso moltissimo presso le strutture pubbliche, anche perché le famiglie multi-problematiche sembravano non recepire così in fretta, così bene, la mediazione secondo un modello basato su tecniche di negoziazione, quindi occorreva realizzare una fase di pre-mediazione preparatoria iniziale, cui seguiva la fase di mediazione vera e propria con delle tecniche di negoziazione, e infine una fase di follow-up.
E’ il modello Clinico che si diffuse presto in Canada presso i Servizi Pubblici di assistenza alle famiglie in crisi e in via di separazione e quindi, grazie al favore linguistico (dal versante anglofono a quello francofono), è stato anche quello che è penetrato nell’Europa mediterranea attraverso la Francia.
Un altro modello molto diffuso negli Stati Uniti e anche in Nord Europa, che invece in Italia non è mai stato preso in considerazione se non marginalmente è il Transformative Mediation Model. Nato e sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni ’90, fu un modello che affascinò e conquistò molti operatori, ma che ha destato anche molte polemiche. Questo modello è centrato sulla relazione che si viene a creare tra due contendenti, è stato definito “Transformative” perché tende a voler trasformare la loro relazione, da una relazione in cui non c’è “riconoscimento” reciproco tra le parti, a una relazione in cui si matura questo riconoscimento e anche la valorizzazione da parte della persona che meno era assertiva nella relazione, quindi il problema e la sua chiave risolutiva sono centrati sulla relazione.
Per quanto riguarda il Modello Negoziale o di Problem Solving, questo è stato esteso anche, ad esempio, alla mediazione coniugale, cioè mediazione non finalizzata a separazione o divorzio, ma alla gestione dei problemi pratici che destano conflitti nella coppia che non per questo intende separarsi, distinguendo ovviamente questo tipo di intervento da qualsiasi forma terapeutica.
È diventato chiaro sempre di più, soprattutto all’estero, dove questa pratica si è diffusa oltre trent’anni fa, che Mediation significa facilitare una negoziazione tra persone in conflitto, quindi si parla di questo intervento come di un intervento teso a facilitare il superamento dei conflitti di terze parti, quindi i mediatori vengono chiamati a intervenire pur non essendo coinvolti nella conflittualità e per facilitare le altrui capacità/risorse atte a gestire il conflitto. Nel 2003 si è formata in Europa una sezione distaccata della grande associazione statunitense Association for Conflict Resolution, dimostrando questo passaggio della Mediation a disciplina destinata alla gestione positiva del “conflitto”, e non più come una pratica derivata dalla conoscenza approfondita dei suoi contesti di applicazione.

La situazione Italiana e le diverse forme di mediazione
Uno sguardo all’Italia risulta essere, ormai, di confronto con il resto d’Europa, sia da un punto di vista legislativo, sia da un punto di vista formativo, sia dal punto di vista dell’esercizio della mediazione.



Da un punto di vista legislativo (cfr. fig. 2), per quanto riguarda le ADR, esse sono penetrate molto più in fretta e molto più velocemente nel contesto commerciale e socio-aziendale di quanto non sia penetrata la mediazione nel settore sociale e della famiglia, per esempio i contratti collettivi nazionali con la legge 108 del ’90 e la legge 29 del ’93, hanno portato alla necessità della creazione, addirittura nei contratti di lavoro, di formule preliminari rispetto al contenzioso giudiziario, ovverosia doveva essere tentata una conciliazione prima di poter afferire al giudizio. Attenzione però, perché mentre nel mondo anglosassone, e fra le altre cose anche in Germania e negli stati del nord Europa, non esiste la parola di derivazione latina “mediazione” (quindi “mediation” è chiaro che voglia caratterizzare qualcosa di nuovo e di specifico), in Italia l’istituto della mediazione è un’altra cosa (e comunque anche noi nel nostro parlare quotidiano utilizziamo la parola “mediare” per indicare qualsiasi intervento di ricerca di un punto che stia nel mezzo tra due o più cose, idee o richieste contrapposte, vuoi della coppia, vuoi fra contendenti, ecc.). Questa confusione linguistica tipica dell’Italiano, assommata all’esistenza del presistente istituto della mediazione d’affari che troppo si discostava dal nuovo tipo di intervento, ha fatto sì che in Italia non esistano né leggi né informazioni sulla mediazione in campo commerciale e in campo lavorativo, infatti è stata scelta la parola “conciliazione”, che ha rinnovato il vecchio istituto della conciliazione in campo lavorativo, societario e commerciale già diffuso nel nostro Paese. Ecco perché, purtroppo, in Italia abbiamo visto un progredire in parallelo del mondo dei conciliatori e del mondo dei mediatori. In realtà, però, si tratta dello stesso mondo. Questa scelta di parole diverse li ha divisi per moltissimo tempo.
Per quanto riguarda il tentativo di conciliazione giudiziale, questo è presente in tantissime situazioni, gli stessi giudici di pace hanno facoltà di nominare un esterno per un tentativo di conciliazione.
Anche per quanto riguarda la conciliazione amministrativa, presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro è stata data ampia facoltà di intervento. Purtroppo però la troppa fretta nel realizzare le leggi non ha affatto giovato ed essendo state promulgate prima ancora di poter contare su operatori in grado di mediare i conflitti, comunemente, in questo settore, il tentativo di conciliazione viene sovente vissuto come un fastidioso passaggio obbligato in cui si nutrono ben poche speranze di un’effettiva utilità.
Diverso è il caso della conciliazione in ambito commerciale e di consumo, legge 580 del ’93 che diede mandato alle CCIAA di realizzare servizi di arbitrato e conciliazione. La Camera di Commercio Industria Agricoltura ed Artigianato di Milano e la Camera di Commercio di Treviso con Curia Mercatorum, lentamente ma con costanza e professsionalità, hanno sviluppato i primi sportelli di conciliazione. Le ricerche confermano che la Camera di Commercio di Milano riceve richieste per oltre 500 casi di conciliazione l’anno, interessanti controversie di consumo, turismo, subfornitura, società, ecc. Questo perché dal ’93 in poi (legge 192 del ’98 interessante i rapporti di subfornitura, legge 135 del 2001 relativa al turismo e la legge 366 del 2001 e successivo dec. leg. 5 del 2003 sulla riforma delle società), anche nel nostro Paese avremo una grandissima spinta alla conciliazione, alla mediazione di conflittualità fra terze parti coinvolte in rapporti economici.

Per quanto riguarda la mediazione penale, è molto importante dire che nell’Europa mediterranea, e quindi anche in Italia, ci si è mossi soprattutto sotto la guida di una persona, l’antropologa Jacqueline Morineau, la quale, partendo dall’evento critico/traumatico che unisce la vitttima al suo aggressore, parla di un’unica mediazione. La mediazione della Morineau è nata a fianco al Tribunale di Parigi, quindi i casi che ha gestito e che gestisce sono soprattutto casi che vedono coinvolte le vittime di qualsivoglia forma di violenza o abuso. Il modello di Jacqueline Morineau è entrato in Italia passando prima da Torino (Buchard, Scatolero, Ceretti e De Vanna sono stati fra i suoi primissimi allievi). Se ne fece immediatamente portavoce il gruppo Abele, quindi il modello Morineau si è diffuso nel nord Italia attraverso uno dei gruppi di mediazione penale minorile più attivi, il Centro di Mediazione Penale Minorile di Milano che ha un legame diretto con il Tribunale dei Minori e che è guidato dal criminologo Adolfo Ceretti, e nel sud Italia si è diffuso attraverso il centro C.R.I.S.I. di Bari, che ha realizzato una grande collaborazione con il Tribunale di Bari.

La mediazione familiare in Italia

A proposito della normativa regolante la mediazione familiare (cfr. fig. 3), occorre notare una cosa: nonostante molto spesso nella formazione dei mediatori familiari in Italia si ribadisca che la mediazione familiare non è applicabile in casi di violenza intradomestica, una delle poche leggi che in Italia ha introdotto la parola mediazione familiare è proprio la legge 66 del ’96, che ha riformato la violenza sessuale e ha preso in considerazione anche la violenza intradomestica. Nella legge 66 si suggerisce l’intervento di un mediatore familiare a tutela della famiglia e del rapporto familiare.


Nel campo della mediazione in famiglia, l’unica cosa a cui i giuristi si possono appellare per confrontarsi e per capire bene quale sia la funzione del mediatore familiare, è una sentenza di Occhiogrosso (Sez. I, 21 novembre 2000, Tribunale di Bari), dove si specifica in modo preciso che il mediatore non è un consulente del giudice, quindi lavora autonomamente rispetto al circuito giudiziario: è un ausiliario, ciò vuol dire che non deve prestare giuramento, ciò vuol dire che il suo compenso viene liquidato, se deve essere liquidato, direttamente dalle parti: se è offerto presso un servizio pubblico, gli utenti pagheranno il ticket, se è offerto presso un servizio privato le parti liquideranno direttamente il compenso al mediatore. Non solo, ma va aggiunto che il mediatore non è assolutamente tenuto a presentare una relazione al giudice. Può semplicemente limitarsi a comunicare “si, abbiamo lavorato insieme” e “si, hanno raggiunto un accordo”, oppure “no, non hanno raggiunto un accordo”. Non è necessario che il mediatore consegni al giudice il contenuto dell’accordo. Questo, è un precedente importante per l’Italia perché, mentre la Francia ha introdotto la mediazione familiare in quello che è il percorso regolare che le coppie devono affrontare al momento della separazione e del divorzio, e allo stesso modo è successo in Germania, in Norvegia, e in altri Stati del Nord Europa, tra cui anche in Inghilterra, Irlanda, ecc., in Italia siamo bloccati su qualsiasi riforma della legislazione in materia di famiglia, nonostante ci siano progetti di legge presentati da oltre dieci anni che purtroppo non maturano.
Per quanto riguarda la possibilità di accedere ai fondi europei per la creazione di servizi di mediazione familiare c’è stata una legge, la 285 del 28 agosto 1997, che ci ha permesso di avere la possibilità, almeno economica, di creare centri di mediazione per la tutela del minore e della famiglia.

La formazione dei mediatori familiari in Italia
Occorre ricordare che per quanto riguarda la formazione dei mediatori familiari in Europa, fin dai primi anni ’90, c’era stato il tentativo di creare una certa uniformità di intenti. Era stata realizzata e rispettata la Charte Europeenne del 1992 (una convenzione tra centri di formazione appartenenti a diversi stati europei, tra cui anche l’Italia) che tuttavia, essendo stata finanziata e patrocinata dalla Association pour la Promotion de la Mediation Familiale o APMF, restava legata a quella singola associazione privata francese. In seguito, gli stessi centri di formazione e organismi costituenti la Charte riuniti e, con una certa continuità rispetto al lavoro fatto nel ’90 e nel ’92, hanno formato il Forum Europeo Formazione e Ricerca in Mediazione Familiare con sede a Marsiglia in Francia, ma di carattere prettamente internazionale, un’associazione creata principalmente, se non quasi esclusivamente, da centri di formazione alla mediazione familiare. Il Forum Europeo si proponeva, in assenza di regolamentazioni nazionali specifiche, di promuovere una formazione valida ed efficace in tutta Europa, quindi l’intento non era quello di conferire il titolo di “eletti” ai centri che ne fanno parte e che ottenevano l’approvazione della loro formazione, ma quello di accogliere, se possibile, tutti i centri di formazione in mediazione familiare per uniformare e lentamente elevare gli standard della qualità formativa.
In Italia si contavano nel 2003, 55 centri di formazione alla mediazione familiare, e nel Forum Europeo vi erano 12 paesi rappresentati, con evidenti difficoltà linguistiche e quindi di comunicazione, ma uniti dalla mediazione familiare.
Per quanto riguarda la formazione in Italia (cfr. fig. 3), sono riscontrabili alcuni modelli formativi ben precisi. Uno è quello diffuso dall’AIMS, presente in tutta Italia con numerosi centri di formazione. C’è poi il modello SIMEF, anche il modello SIMEF è un modello molto diffuso, soprattutto, ma non esclusivamente, presso le ASL. Ci sono poi alcuni centri della scuola Morineau, come anticipato, che, essendo mediazione a 360 gradi secondo la volontà della sua ideatrice e principale rappresentante, fanno formazione anche per mediatori familiari e hanno una caratteristica che è quella di essere molto attenti a eventuali situazioni di violenza intradomestica. Ci sono anche molte scuole di derivazione statunitense o più eclettiche, come ad esempio nel caso dell’autrice del presente contributo.
Da puntualizzare: non tutte le scuole, o meglio non tutti i modelli presenti oggi in Italia affrontano, oltre alla conflittualità legata alla cura dei minori, anche la conflittualità legata alla gestione del denaro. Quindi, alcuni mediatori in Italia svolgono funzione di mediatori soprattutto per quanto riguarda situazioni di affido, altri mediatori affrontano situazioni di mediazione familiare anche per quanto riguarda il contenzioso legato alla gestione del denaro.

L’esercizio della professione e la regolamentazione della figura del mediatore familiare

Per l’esercizio dell’attività di mediatori familiari, per molto tempo si è assistito a un fenomeno di moda che ha trascinato alcuni simpatizzanti a operare pur senza una specifica preparazione. Questa situazione non ha giovato alla corretta diffusione della mediazione e i mediatori familiari più qualificati hanno tentato sempre di porvi rimedio. Dal 2005, finalmente la situazione è maggiormente chiara, infatti la figura professionale del mediatore familiare è stata regolamentata, grazie all’Associazione Nazionale Mediatori Familiari o AIMeF.
L’AIMeF è un’organizzazione professionale volontaria senza scopi di lucro che raggruppa mediatori familiari in attività, competenti e con una specifica formazione accreditata, successiva alla laurea in scienze sociali o del diritto oppure a una lunga esperienza nell’ambito dell’assistenza alle coppie in crisi e alla famiglia.
L’AIMeF non si presenta come una scuola di pensiero o il portavoce di un particolare modello di mediazione familiare, ma li contiene tutti (negoziale, strutturato, GeA, clinico, sistemico-relazionale, mediterraneo, trasformativo, integrato, Morineau-sociale, ecc.), purchè rispettosi di un comune codice deontologico specifico che è parte dello Statuto associativo AIMeF (cfr. fig. 3).

L’AIMeF garantisce i requisiti fissati dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro in merito alle nuove professioni intellettuali:

a) l’esistenza di un ordinamento interno a base democratica;
b) l'assenza di fini di lucro da parte dell'associazione;
c) l’indicazione analitica dei requisiti richiesti per l'iscrizione all'associazione;
d) la descrizione delle prestazioni professionali ritenute fondamentali in quanto caratterizzanti la professione, rese dagli associati;
e) il riferimento all'esigenza di tutela degli utenti del servizio reso;
f) l’esistenza di adeguate forme di assicurazione anche collettive per la responsabilità civile per danni arrecati nell'esercizio dell'attività professionale;
g) la previsione di una quota associativa annuale;
h) l’indicazione del numero degli aderenti in regola con il pagamento della quota associativa al 31 dicembre dell'anno precedente;
i) la disponibilità di adeguate strutture organizzative e tecnico scientifiche, interne e/o esterne, necessarie per la determinazione dei livelli di qualificazione professionale ritenuti necessari per lo svolgimento della professione, ivi compresa la periodicità della formazione e dell'aggiornamento professionale;
j) la predeterminazione delle condizioni richieste per l'eventuale rilascio di un attestato in ordine ai requisiti professionali eventualmente limitato a determinate prestazioni professionali;
k) le caratteristiche, la struttura e contenuti dell’attestato, compresa la durata della validità.


Pertanto l’AIMeF non solo ha validato a livello nazionale i requisiti della formazione specifica dei mediatori familiari (nel rispetto degli accordi internazionali del Forum Europeo Formazione e Ricerca in Mediazione Familiare con sede a Marsiglia – Francia), e un codice deontologico al di sopra dei singoli modelli operativi (rispettoso del successivo Codice Deontologico Europeo dei mediatori - 2 luglio 2004 European Commission Directorate-General Justice and Home Affairs BRUXELLES), ma:
- fornisce ai mediatori familiari un tesserino di competenza da rinnovarsi annualmente con uno specifico adesivo comprovante la sua validità,
- richiede agli iscritti di aderire, pena l’espulsione, all’assicurazione RC nello svolgimento della specifica professione di mediatore familiare,
- richiede prova agli iscritti di aver aggiornato la propria formazione,
- accredita le scuole di formazione presenti in Italia
- verifica all’atto di iscrizione degli aspiranti soci che essi non solo siano preparati da un punto di vista teorico e pratico, ma che essi sappiano “essere” mediatori familiari competenti.
L'Associazione Italiana Mediatori Familiari ha i seguenti obiettivi:
- tutelare la figura professionale del mediatore familiare riunendo i professionisti che si occupano di mediazione familiare in uno spirito di cooperazione e valorizzazione delle differenze individuali e professionali;
- stabilire i criteri essenziali della figura del mediatore familiare e dell'esercizio della mediazione familiare, nonché di verificare il corretto e qualificato esercizio della prestazione professionale effettuata;
- favorire il perfezionamento professionale dei mediatori familiari attraverso attività di informazione, scambio, arricchimento e confronto a livello nazionale e internazionale;
- diffondere e tutelare i principi teorici e i criteri di esercizio della figura del mediatore familiare.


BIBLIOGRAFIA
  • Bush R.A.B. e Folger J.P.,(1994) The promise of mediation, Jossey-Bass
  • Buzzi I., (2003) Introduzione alla conciliazione. Principi fondamentali e applicazione della mediazione ai conflitti aziendali e commerciali, Giuffré Editore
  • Di Rago G., Giudice G.N., Cicogna M., (2004) La conciliazione commerciale. Manuale teorico-pratico, Maggioli Editore
  • Gulotta G. & Santi G., (1988) Dal conflitto al consenso, Giuffrè
  • Haynes J.M. e Buzzi I., (1996) Introduzione alla mediazione familiare. Principi fondamentali e sua applicazione, Giuffrè
  • Mazzei D., (2002) La mediazione familiare. Il modello simbolico trigenerazionale, Raffaello Cortina
  • Morineau J., (2000) Lo spirito della mediazione, Franco Angeli
  • Scaparro F. (a cura di), (2001) II coraggio di mediare, Guerini

1 commento:

Unknown ha detto...

Velocità ed efficienza
I nostri prestiti sono rapidi e sicuri e con tassi di interesse molto bassi. Fai domanda per il tuo prestito ora e ricevi una conferma rapida e un tasso fisso del 2%
Posta: julesporas@gmail.com