CTU IN SITUAZIONI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO SIGNIFICATO, IMPLICAZIONI ED EFFICACIA DI UN INTERVENTO CLINICO

di Luciano Tonellato Psichiatra, Psicoterapeuta, Didatta A.I.M.S., I.T.F.F. e I.T.F.V. luciano.tonellato@virgilio.it

Quando si operano interventi che si situano in territori di confine, ad esempio tra l’ambito clinico e quello giuridico, il rischio che si possano ingenerare dubbi, confusioni, slittamenti di contesto e attribuzioni arbitrarie, è sempre elevato.
Da qui la necessità di operare uno sforzo di approfondimento e chiarificazione sempre maggiori. Capita con una certa frequenza che Magistrati, Legali e anche i Consulenti, utilizzino indifferentemente o in modo improprio termini come terapia o mediazione nei dispositivi del Giudice, nelle controdeduzioni del CTP1 o nelle richieste che una o entrambe le Parti avanzano. Negli ultimi quindici anni numerosi autori, tra i quali Cigoli, Gulotta, Santi, Galimberti, Colombo ecc., hanno messo in discussione l’uso e l’impostazione stessa della CTU2 che, fino ad allora, veniva comunemente prodotta dagli esperti che ricevevano l’incarico dal Giudice.
Nel tempo, l’offrire al Giudice e alle Parti un senso della vicenda familiare e dell’esito fallimentare del matrimonio, il cogliere i temi non trattati dalle famiglie, ma anche le risorse presenti nelle relazioni, l’operare con il dichiarato obiettivo di tutela dei legami del minore, hanno contribuito a dare corpo all’idea di un possibile utilizzo clinico della CTU. L’innovazione si è sovrapposta così alla consuetudine, ma non sempre la nuova concettualizzazione proposta ha trovato coerente traduzione nelle prassi di quanti hanno accolto con favore la sfida innovativa. La sensazione è della mancanza di orientamenti che permettano di operare nei confronti di tante vicende simili e al tempo stesso così specifiche, di doversi appropriare di uno strumentario per intervenire adeguatamente e con la necessaria flessibilità, coerentemente con l’impostazione epistemologica e al tempo stesso con la relazione costruita all’interno della CTU stessa con i protagonisti della vicenda familiare.
La prima parte dell’articolo vuole sottolineare e cercare di definire alcune questioni cruciali, spesso frutto di fraintendimenti, mentre la seconda parte passa in rassegna le funzioni caratterizzanti l’uso clinico della CTU e il relativo strumentario, utilizzabile dal Consulente.
Voglio innanzitutto sgombrare il campo da un possibile fraintendimento che confonde il significato di un intervento clinico con un percorso psicoterapeutico. Il setting psicoterapico è definito da precise caratteristiche che possono variare a seconda dello specifico approccio e comunque, sempre per definizione, è riservato ad individui, coppie o gruppi che volontariamente decidono di affrontare il percorso terapeutico a partire da una domanda di aiuto.
Si tratta quindi di una specifica parte di tutti gli interventi che in ambito clinico vengono generalmente effettuati. Per quanto riguarda la clinica, il termine deriva dal greco kliné, ovvero letto, e rinvia a ciò che viene effettuato al ‘capezzale’ del destinatario: si tratta di un intervento che richiede una presenza partecipe, vicina, in grado di offrire una risposta alla situazione di sofferenza, mantenendo la dimensione del caso per caso.
La Consulenza Tecnica d’Ufficio non può, in alcun modo, rivestire il contesto idoneo per iniziare, effettuare o far credere che si tratti di una forma di psicoterapia. Tuttavia il Consulente interviene sulle persone, orienta e condiziona inevitabilmente il destino di quel gruppo familiare, spesso condivide con i protagonisti della vicenda momenti di intensa sofferenza ed è chiamato comunque, in quanto “tecnico non asettico” ed esperto delle relazioni umane, ad offrire possibili aiuti a chi sta, con enorme disagio, affrontando il tema della separazione con le implicazioni complesse che essa attiva. L’intervento, pur all’interno di una cornice giuridica, presenta inevitabilmente i connotati dell’intervento clinico.
Dal punto di vista giuridico, la CTU è effettuata dal Consulente (art. 61 c.p.c.), nominato dal Giudice per “farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo…”. Non è quindi un perito, non dovrebbe esprime un parere, bensì svolgere una funzione di ausilio al Giudice, relativamente al campo della propria esperienza. È pur vero che tale distinzione, nella pratica, rischia di apparire non apprezzabile; di norma il CTU interagisce solamente con le Parti, alla fine dei lavori, redige una relazione che diventa, generalmente, un mezzo attraverso il quale il Giudice esprime il proprio giudizio. Voglio qui anticipare che nel modello di lavoro strutturato all’interno dell’I.T.F.V.3, si fa ricorso al Giudice, chiedendo la comparizione delle parti, ogni qual volta il CTU ritenga che la situazione potrebbe trarre utilità dalla presenza del Giudice stesso; tale prassi è quindi improntata a restituire, almeno in parte, la Consulenza allo spirito giuridico originario, e soprattutto a rinforzare la sinergia tra l’intervento del Consulente e quello del Giudice, orientato alla tutela reale dei minori e dei loro legami.
Anche i termini mediazione, o tecniche di mediazione, compaiono sempre più frequentemente all’interno delle controversie giuridiche. La mediazione, nell’intento di voler restituire competenza nella soluzione dei problemi agli stessi protagonisti, è strutturalmente antitetica alla logica del diritto, che interviene per dirimere d’imperio le controversie. Tuttavia il Consulente, come sarà descritto più avanti, spesso deve attingere dall’esperienza di mediazione per poter affrontare alcune questioni e ne adotta gli strumenti, pur ricontestualizzandone le modalità di applicazione.
Non è infrequente che la contraddittorietà sopra enunciata rischi di ingenerare ulteriori fraintendimenti, al punto che io ritengo sia opportuno proporre l’acquisizione del termine mediazione giuridica4 agli interventi di tipo mediatorio nei contesti giuridici, dando la seguente definizione: si intende mediazione giuridica quando alle Parti sia consentita una mediazione con una libertà limitata, non potendo venir meno il rispetto ed il confronto con i diritti/doveri riconosciuti dalle Leggi e/o dalla Giurisprudenza. Le Parti possono quindi mediare, ma all’interno di precisi limiti che fungono da contenitore della controversia e da garanti per ciascuna parte. L’accordo non è fatto privato, nel caso della CTU l’interesse del minore è al centro della valutazione, la tutela dei legame deve essere perseguita e l’ultima parola è del Giudice.
Per gli obiettivi di questa riflessione, potremmo concettualizzare la CTU come una situazione che oscilla costantemente tra due polarità distinte: quella giuridica e quella clinica. Nei diversi momenti del percorso, il contesto può quindi porre in evidenza maggiormente le tematiche, le modalità del contendere, i vincoli delle norme, che comunque esistono a partire dal mandato del Giudice, e che sono proprie del contesto giuridico, mettendo sullo sfondo altrettanto specifiche problematiche, i temi non trattati, che impediscono a quei genitori di andare, come direbbe Cigoli, oltre la fine della vicenda coniugale. In momenti successivi può accadere l’inverso: in realtà potremmo considerare questa dicotomia solo apparente, poiché si tratta di espressioni differenti, in momenti differenti, di ciò che quegli individui, genitori – figli, hanno necessità di trasferire5, in quanto nell’impossibilità di trattare la sofferenza in campo, all’interno del ‘contenitore – Consulenza’. Credo che il lavoro del Consulente possa essere descritto, dal punto di vista clinico, anche come una valutazione attenta delle risorse di quel sistema osservato di poter o meno dare risposte adeguate ai bisogni delle persone implicate, una volta che la Giustizia avrà dato loro le disposizioni ritenute più opportune. Ovvero le capacità dei protagonisti, una volta messi nella migliore condizione possibile, di tornare ad affrontare le difficoltà delle relazioni nuovamente attingendo alle risorse personali e familiari, potendo disinvestire da aspettative e deleghe rivolte alla Giustizia. Sappiamo ormai da tempo come e quanto l’Osservatore sia esso stesso influenzato ed in grado di influire sul sistema osservato. Come dire che l’operato del Consulente non è affatto neutro e il risultato della Consulenza stessa potrà essere differente a seconda dell’atteggiamento e dei modelli di cui il Consulente è portatore. Ne consegue che il Consulente ha un certo tempo a disposizione entro il quale può, non solo limitarsi ad acquisire elementi utili per una corretta valutazione della situazione, ma la Consulenza stessa può diventare un momento privilegiato entro il quale attivare le possibili risorse del sistema. A chi obietta che ciò esce dall’usuale mandato del Giudice, potremmo contrapporre le seguenti considerazioni:
- si tratta spesso di situazioni che hanno già visto fallire dei tentativi di intervento
- si tratta spesso di situazioni che mostrano un danno già in atto nella prole
- si tratta spesso di situazioni che solo all’interno di una cornice “autorevole” e in grado di contenere la gravità del conflitto hanno qualche speranza di interrompere il crescente livello di distruttività
- si tratta spesso di situazioni che non possono “attendere” i tempi di elaborazione di una psicoterapia per iniziare ad interrompere gli effetti più gravi del conflitto, o coinvolgono persone che non potrebbero mai accedere ad una psicoterapia e, in molti casi, anche ad una successiva mediazione al di fuori della cornice giudiziaria.
Allora la vera sfida sembra essere: poter intervenire efficacemente, con sufficiente ed adeguato strumentario, con ausili prognostici e indicatori adeguati di percorso, nel rispetto della cornice giudiziaria.

Voglio brevemente ricordare che le situazioni cliniche che accedono alle Consulenze Tecniche d’Ufficio presentano di solito delle conosciute modalità di relazione, ben descritte da Cigoli:
1. situazioni di legame disperante
2. situazioni di legame scismatico
3. situazioni di inettitudine dei genitori

Se dovessimo rappresentare graficamente l’andamento nel tempo delle oscillazioni tra le due polarità prima definite, quella giuridica e quella clinica, delle situazioni ad evoluzione positiva che affrontiamo nelle CTU, potremmo rappresentarle, a titolo esemplificativo, come una sequenza di oscillazioni. I reiterati picchi, che simboleggiano transitori inasprimenti del conflitto, sono seguiti da altri in cui la curva recupera sul versante clinico. Questo rappresenta il contesto più adeguato a trattare dei bisogni delle persone. Si può osservare come il grafico gradualmente tenda ad avvicinarsi maggiormente alla dimensione clinica, lasciando sullo sfondo quella giuridica. Quest’ultima non è però mai completamente assente e il lavoro prodotto all’interno della CTU ritorna, alla fine, al vaglio della Giustizia.

Funzioni e Strumentario della CTU
Questa seconda parte guarda all’uso clinico della CTU dal punto di vista delle funzioni che vengono attivate e al relativo strumentario in possesso del CTU.

1. La prima funzione, a cui la CTU non può sottrarsi, è quella più strettamente connessa con il mandato del Giudice6: offrire una lettura sistemico-relazionale, professionalmente corretta, utile al Giudice e alle Parti (ovvero le ‘famiglie’ che vivono il dramma di una separazione molto conflittuale, i Consulenti ed i Legali) per giungere a dei provvedimenti coerenti con la valutazione effettuata. In altre parole dare una risposta al quesito del Giudice, che, in questi casi, usualmente vuole sapere come operare scelte nell’interesse dei figli.
Lo strumentario in questo caso è proprio l’applicazione della lettura sistemico - relazionale all’interno dei colloqui e delle interazioni messe a punto, nell’ambito della CTU, secondo il modello utilizzato dai Centri Co.Me.Te7.

2. Una seconda fondamentale funzione che la CTU può svolgere, in quanto emanazione del sistema Giustizia, è proprio di ‘contenere’ il conflitto, fungere da contenitore di un livello emotivo altrimenti difficilmente arginabile. Sappiamo infatti che l’eccessivo coinvolgimento emotivo delle persone implicate risulta spesso bloccante per il superamento del conflitto in atto. Da una diversa angolatura, potremmo leggere lo stesso fenomeno anche come il bisogno del sistema familiare di riproporre, e quindi far ‘rivivere’ al CTU, la sofferenza patita nella propria storia, con la richiesta implicita che il CTU possa renderla tollerabile e possa rendere possibile una soluzione. Conosciamo dall’esperienza clinica come le famiglie tendano a riproporre il proprio dramma nell'aspettativa, spesso inconsapevole, che solamente chi avrà saputo reggere emotivamente e avrà quindi garantito alla famiglia stessa di sperimentare la possibilità di stare in quella sofferenza in modo diverso, potrà aiutarle a traghettare oltre l’intoppo evolutivo. Il transfert sulla Giustizia, in parte, diventa il transfert sul Consulente. A riprova dell’importanza di quanto sopra affermato, similmente a quanto descritto per le famiglie in terapia, verso la fine del percorso di una CTU condotta con le modalità cliniche proprie del nostro modello, spesso si osserva una riproposizione, in genere più sfumata, del conflitto, quale segnale/sintomo dell’aumento dell’angoscia derivante dall’imminente fine del controllo/sostegno esercitato dal CTU.

Strumentario del CTU:
- sottolineare i principi (giuridici e “curativi” della relazione) che sottendono le regole fissate dal Giudice e dalla Legge, richiamare alle responsabilità e alla necessità di intervenire con opportune misure, da parte del corpo sociale, se necessario, in favore dei figli (quest’ultimo aspetto deve essere sottolineato mettendo l’enfasi ‘sull’irrinunciabile interesse dei figli’, allo scopo di farlo vivere ai protagonisti con valenze non colpevolizzanti o minacciose)
- entrare in empatia con ciascun protagonista lavorando per la costruzione di una relazione in grado di far sentire i protagonisti accolti, ma anche posti di fronte ai limiti che la situazione presenta.

Dopo aver ricordato queste due prime funzioni della CTU, si potrebbe essere tentati di concludere che il CTU si deve limitare a svolgere, dopo aver “letto” la situazione in modo competente, a svolgere unicamente questo compito di ‘garante’ che la sofferenza familiare non assuma valenze distruttive, per un tempo sufficiente.
Io penso di no! Si può e si deve fare altro, a partire dalle specifiche caratteristiche presentate dalla situazione di conflitto, come più avanti cercherò di specificare.

Ma anche altri dubbi ed altre domande si pongono per chi lavora nell’ambito psicogiuridico:
- quali sono le garanzie offerte dai risultati/eventuali accordi raggiunti raggiunti in sede di CTU? Se e quando vanno monitorati (ad esempio con un supplemento di CTU)?
- questi abbassamenti del livello di conflitto, quali garanzie offrono di perdurare nel tempo, dopo la conclusione dei lavori?
- la mancanza di uno spazio elaborativo ottimale (non siamo in un contesto di terapia), che permetta di trattare la storia, quali implicazioni avrà nella qualità dell’accordo raggiunto sotto l’occhio vigile della legge? Come sarà possibile consolidare la consapevolezza di dover trovare, per entrambi i genitori, un modo adeguato di portare a termine la separazione coniugale e di costruire contemporaneamente una genitorialità sufficientemente buona?
- in quali casi può essere opportuno motivare il gruppo familiare ad una psicoterapia della famiglia? Per l’eventuale psicoterapia è sempre bene che l’invio sia fatto a terapeuti ‘esterni’?
Sappiamo che a volte i risultati sono parziali, in altri casi sembrano più soddisfacenti e in grado di reggere nel tempo, ma lo sforzo che in questi anni ha visto impegnato lo staff dell’I.T.F.V., è stato quello di affinare sempre più una metodologia di intervento in grado di ampliare la gamma dello strumentario a disposizione e di individuarne ambiti di applicazione più specifici. Tali esperienze sono ancora in via di strutturazione e trasformazione, ma hanno già offerto l’occasione di ampliare il tentativo di ‘sistematizzare’ sopra iniziato. All’interno di tale ricerca vanno intese le funzioni trattate qui di seguito.

3. Una terza funzione, che spesso è importante sia svolta dalla CTU, potremmo chiamarla di SVELAMENTO: ovvero la possibilità, all’interno della CTU-cornice di trovare modi e tempi nei quali interrompere, disinnescare la manipolazione continua, spesso inconsapevole, che le due parti mettono in atto coinvolgendo soprattutto i figli, al fine di mantenere il conflitto e prevalere sull’altro.
Situazioni, frasi, vissuti, vengono letti, interpretati e utilizzati spesso strumentalmente, quasi a voler sollevare una specie di “polverone”, tale da impedire alle parti in conflitto di “vedere”.
Il vero problema in questi casi è che spesso gli interventi del Consulente non raggiungono l’obiettivo voluto, perché i protagonisti attivano precise modalità difensive e, per una elaborazione o per la semplice presa d’atto di una realtà differente da quella vissuta, lo spazio interno sembra già sovraccarico di sentimenti ed emozioni.
Ho quindi ritenuto si dovessero pensare situazioni in grado di riaprire l’attenzione sulla qualità dei legami e degli affetti e sui bisogni dei figli, poiché questi rappresentano per il Consulente e per i genitori il punto di convergenza più significativo per motivare un qualsiasi cambiamento. Nella pratica comune vengono utilizzati a tale fine i Consulenti di Parte e, occasionalmente, gli stessi Legali, ma non sempre queste figure sono nelle condizioni o accettano di muoversi sintonicamente agli obiettivi della CTU, ovvero a quelli del mandato del Giudice. Necessita quindi un ulteriore strumentario. Per tale funzione ritengo siano particolarmente indicati strumenti che utilizzano il non verbale. Lo svelamento richiede si crei un contesto che non permetta la riproposizione della manipolazione o della scissione delle parti, come avviene nella vita quotidiana di queste famiglie, condizione indispensabile perché ciascuno possa continuare nel gioco delle attribuzioni e si mantenga vivo il conflitto.

Strumentario del CTU:
Può assumere particolare importanza l’uso flessibile e dinamico dell’immagine:
a) in quanto canale meno saturo rispetto a quello verbale
b) in quanto in grado di far vedere “l’altro lato della luna”; l’immagine può funzionare da cuneo per aprire varchi nel muro che è stato alzato tra i contendenti
c) in quanto con effetti immediati, e quindi utile per interrompere subito una situazione dannosa per i figli. Ciò risulta coerente con i tempi della Consulenza, che non può attendere, come accade in terapia, che i protagonisti maturino dei cambiamenti anche in tempi lunghi. La gravità del conflitto e le angosce distruttive che spesso lo accompagnano, impongono interventi a volte inizialmente molto fermi e diretti, da valutare di caso in caso.
- Le immagini utilizzate, nella gran parte dei casi, vengono offerte dai figli stessi nelle interazioni con i singoli genitori8, nel disegno congiunto e nel colloquio diretto del CTU con loro, all’interno quindi della CTU.
- Vengono selezionati brani video che sono proposti e commentati assieme ai genitori; in alcuni casi ho utilizzato la trascrizione del colloquio con i figli, chiedendo ai genitori di leggere la parte, di ‘interpretare’ quel figlio nei confronti del quale sembravano mostrare maggiore difficoltà nel porsi in una relazione adeguata. In famiglie con figli adolescenti, schierati con uno dei genitori, può essere utile l’inverso: previo consenso dei genitori, mostrare o far leggere ai figli dei brani tratti da fasi precedenti della CTU; ad esempio quando i genitori si esprimono intorno ai motivi iniziali di attrazione reciproca andati poi delusi. L’obiettivo in questo caso è di mostrare un senso plausibile della storia familiare differente da quello ‘manipolato’ dai genitori.

Spesso i figli ‘regalano’ al Consulente immagini suggestive di come stanno vivendo il conflitto tra i genitori e riescono ad andare oltre al farsi portavoce delle ragioni dell’uno o dell’altro. Molto dipende ovviamente da come è condotto il colloquio e generalmente accettano di buon grado, una volta sperimentato all’interno della CTU che il Consulente sia in grado di porsi al di fuori della contesa, ma all’interno delle reali sofferenze e dei vissuti familiari, che il Consulente utilizzi anche ciò che è emerso nell’incontro al fine di aiutare i genitori ad uscire dalla cecità.

Lo svelamento può avere anche forme meno ‘drastiche’, ma passare attraverso una forma di lavoro fatta di opportune sottolineature, domande in grado di portare alla superficie un’immagine diversa da quella fino a quel momento propagandata.
Penso che il discrimine sulla modalità opportuna da utilizzare, dipenda dai segnali offerti dai figli. Orientativamente ritengo utile regolarsi in questo modo:
a) se i figli sono in grado di DIRE e MOSTRARE apertamente il proprio disagio, leggendo quindi il linguaggio verbale e non (segnale di risorsa, pur nel grave dramma che stanno vivendo), ritengo che il CTU sia autorizzato a rompere gli indugi utilizzando forme immediate e dirette come l’immagine;
b) se i figli hanno bisogno di occultare (vedi le situazioni con un programma di alienazione genitoriale già in atto) è necessario valutare con attenzione, non esporre in prima persona i figli, ma passare attraverso vie che, pur inevitabilmente implicandoli, li mettano al riparo da azioni colpevolizzanti o ‘punitive’ da parte di uno dei genitori.

Da alcuni anni, presso l’I.T.F.V., l’utilizzo del disegno congiunto9 all’interno della CTU, non viene proposto solamente come ‘esperienza nuova’ per la famiglia in fase di separazione, in grado quindi di attivare da un lato vissuti significativi e dall’altro di evidenziare le risorse del sistema, ma anche come situazione che può, immediatamente, attivare ciascun membro della famiglia, attraverso domande, su quanto è emerso nel corso dell’interazione e sui possibili significati. Il disegno congiunto si colloca come strumento al taglio tra una possibile forma di svelamento e come facilitatore di un possibile processo mediatorio.

4. La quarta funzione della CTU è quella di offrire ai genitori la possibilità di una comprensione ragionevole del senso della vicenda coniugale e della sua fine, dei suoi esiti sui figli, dei rischi insiti nel conflitto, delle risorse osservate e, se possibile, offrire anche un’occasione di parziale elaborazione.
Tale obiettivo è in realtà già implicito in tutte le fasi della CTU per come essa stessa è strutturata e condotta, ma qui voglio mettere l’accento su un momento in particolare, che in genere coincide con la ‘restituzione’ ai due genitori del senso della storia e dei bisogni-vissuti che hanno portato quella famiglia al conflitto, restituzione che in genere si colloca subito dopo la fase più propriamente valutativa. In alcuni casi può risultare opportuno farla precedere dall’intervento di svelamento attraverso l’uso dell’immagine. E’ comunque un passaggio coerente con il modello sistemico trigenerazionale, che cerca il senso dell’intreccio famigliare, la natura dell’incastro di coppia e un senso plausibile alla vicenda, leggendo il rapporto tra più generazioni. Si tratta quindi di un’operazione, condotta dal Consulente, che riporta dentro, in qualche modo, la storia, ma facendo attenzione che non torni ad essere manipolata e asservita ad una logica di parte.

Strumentario del CTU:
Si dà la possibilità ai genitori di leggere, anticipatamente, anche a casa, la parte della CTU nella quale vengono rilevati i segni e ricostruita la trama in senso sistemico- relazionale; l’elaborato scritto viene poi discusso assieme al CTU; non vi è ovviamente alcuna anticipazione delle conclusioni della CTU stessa.
Alcune considerazioni:
a) Penso che tale stimolo permetta spesso un'ulteriore valutazione sia diagnostica che prognostica al tempo stesso, soprattutto per quelle separazioni in cui sono prevalse le tematiche relative alle appartenenze, ovvero il conflitto ha visto una particolare implicazione, reale o nei vissuti, delle famiglie d’origine.
b) Tale passaggio sembra avere risposte diverse, a volte sfumate, in qualche caso più raro non apprezzabili, in quelle coppie che presentano un conflitto maggiormente centrato sull’angoscia patita durante il matrimonio o la separazione o su dinamiche prevalentemente centrate sul potere e la prevaricazione. In questi casi il dolore sembra, più frequentemente, impedire un accesso al senso condiviso della storia.

L’uso stutturato del genogramma10 in corso di CTU merita delle considerazioni a parte, in quanto, se da un lato ne conosciamo le enormi potenzialità nel permettere, in tempi rapidi, un approfondito accesso alla storia delle famiglie e dei protagonisti, dall’altro lato, nelle situazioni altamente conflittuali, ricche di modalità manipolative, molto ‘distruttive’, potrebbe favorire un uso non corretto delle informazioni e quindi indurre sentimenti di un subito ‘tradimento’ in chi ha accettato di esporsi. Non vi è comunque una controindicazione assoluta, quanto piuttosto la necessità di attenta valutazione delle situazioni che possono realmente usufruirne, e della scelta del momento dell’iter idoneo per proporlo.

5. La quinta funzione della CTU è di offrire un contesto per una possibile “mediazione” degli accordi finali.
Ovviamente non si tratta di una mediazione ‘ortodossa’ come definita dall’A.I.M.S. stessa: non si tratta di un percorso che scaturisce da una richiesta volontaria, avviene all’interno di un preciso mandato del Giudice al Consulente di ricercare le più idonee condizioni di affido, le proposte dei genitori devono cercare di affrontare, dare risposte ai bisogni dei figli che la CTU ha permesso di mettere in luce. Ho sottolineato nelle premesse l’opportunità di definire con sufficiente chiarezza questa forma di mediazione giuridica.
La comprensione dei bisogni dei figli non deve essere intesa meramente limitata all’ascolto di quanto verbalmente essi chiedono, ma dalla lettura di tutti i segnali, verbali e non, raccolti.
Infine, lo stile di conduzione del colloquio è spesso maggiormente direttivo rispetto alle mediazioni familiari.

Strumentario del CTU sono in questo caso tutte le tecniche mutuate dalla mediazione, quali ad esempio:
- costruzione del menù
- il brainstorming
- tecniche di problem solving
- tecniche di ridefinizione, negoziazione
Mi sembra comunque prematuro, e forse neppure opportuno, proporre protocolli troppo rigidi da applicare in sede di CTU. Come si può cogliere da quanto fin qui detto, la rilevanza delle singole funzioni nel corso di una CTU può essere molto diversa da caso a caso, in quanto si possono incontrare situazioni molto differenti. Le funzioni possono essere tutte compresenti, oppure essere limitate a quelle essenziali; la CTU può quindi:
1.terminare poco dopo la fase valutativa, con la possibilità di strutturare degli accordi
2.terminare subito, perché non si intravedono risorse e, in tali casi, l’affido dei figli può anche essere proposto al di fuori delle figure famigliari
3.articolarsi in un tempo e con modalità variabili, tenendo conto delle osservazioni prima delineate.
In quest’ultimo caso la fine della CTU può a sua volta aprire scenari differenti, da valutare volta per volta: vi può essere l’indicazione e la disponibilità delle Parti di continuare parte del lavoro in un contesto chiaramente psicoterapeutico; può essere opportuno, in altre situazioni, mantenere la cornice giuridica per monitorare nel tempo (sei mesi, un anno) il rispetto del dispositivo del Giudice e la verifica della qualità delle relazioni familiari continuando, di fatto, a svolgere una funzione di controllo/sostegno; può infine risultare sufficiente il lavoro clinico svolto nel corso della CTU e quindi limitarsi a porre al vaglio del Giudice i risultati raggiunti.
Gli indicatori che dovrebbero essere maggiormente presi in considerazione per orientare la scelta, sono relativi alle risorse elaborative delle Parti, alle risorse di negoziazione11, alle risorse e ai modelli di funzionamento circa le emozioni. Sappiamo come quest’ultimo parametro interferisca in modo significativo con i primi due.

Per concludere: servono ancora verifiche, ulteriori riflessioni sui limiti e sulle possibilità che il contesto di CTU offre, ma è altrettanto fondamentale affiancare a ciò un lavoro attento, in grado di produrre una nuova cultura. L’apertura di un confronto, di un dibattito con i diversi soggetti interessati, nei diversi luoghi teatro di incontro, mi sembrano aspetti dai quali non possiamo prescindere, per poter arrivare a lavorare con efficacia per la tutela dei legami familiari.
BIBLIOGRAFIA
  • V. Cigoli, C. Galimberti, M. Mombelli: Il legame disperante, Raffaello Cortina, 1988
  • V. Cigoli e L. Pappalardo: Divorzio coniugale e scambio generazionale: l’approccio sistemico-relazionale alla consulenza Tecnica d’Ufficio, in Terapia Familiare n° 53, 1997.
  • A. Mattuccci e L. Pappalardo: Tecniche di mediazione in ambito peritale, in Maieutica n°15/16,
  • V. Cigoli, G. Gullotta, G.Santi (acura di): Separazzione, divorzio e affidamento dei figli. Tecniche e criteri della perizia e del trattamento, Giuffrè Editore, 1997

NOTE


1 Consulente Tecnico di Parte
2 Consulenza Tecnica d’Ufficio
3 Istituto Veneto di Terapia Familiare.
4 Particolarmente stimolanti in proposito sono i contributi offerti da Luca Pappalardo nella sua relazione al IV Congresso Internazionale dell’A.I.M.S. (2003).
5 Nel senso definito da Cigoli relativamente al transfert sulla Giustizia
6 Attualmente le formulazioni dei quesiti si sta modificando da una precedente impostazione, sostanzialmente collusiva con la logica del conflitto in atto, verso un approfondimento e una valutazione della qualità dei legami e delle relazioni familiari nell’ottica dell’interesse del minore. La presente relazione cerca di dare una risposta a quest’ultima modalità di impostazione della CTU stessa.
7 Si tratta di centri specializzati che forniscono risposte e servizi differenziati a quelle situazioni famigliari problematiche che a vario titolo siano connesse al contesto giuridico nelle sue molteplici sedi civili e penali.
8 Mi riferisco al modello di Consulenza in uso presso i Centri Co.Me.Te.. Vedi anche “Tecniche di mediazione i ambito peritale” di A. Mattuccci e L. Pappalardo in Maieutica n°15/16.
9 Si tratta di una tecnica proposta in ambito peritale da Cigoli, Galimberti e Mombelli, la cui consegna è la seguente: “Desidererei che vi rappresentaste come genitori e figli mentre state facendo qualcosa insieme. Potete prima parlarne e decidere cosa disegnare, oppure mettervi subito a disegnare. A disegno finito ne parleremo insieme”.
10 Si tratta di una lettura condotta secondo l'ottica sistemico-relazionale che, a partire da una rappresentazione grafica, permette di mettere in relazione almeno tre livelli generazionali della storia del soggetto, dove quest'ultimo si colloca all'ultimo piano generazionale.
11 Vittorio Cigoli, Contro l’enfasi della mediazione familiare, in Terapia Familiare n°72 luglio 2003.


BIBLIOGRAFIA
  • V. Cigoli, C. Galimberti, M. Mombelli: Il legame disperante, Raffaello Cortina, 1988
  • V. Cigoli e L. Pappalardo: Divorzio coniugale e scambio generazionale: l’approccio sistemico-relazionale alla consulenza Tecnica d’Ufficio, in Terapia Familiare n° 53, 1997.
  • A. Mattuccci e L. Pappalardo: Tecniche di mediazione in ambito peritale, in Maieutica n°15/16,
  • V. Cigoli, G. Gullotta, G.Santi (acura di): Separazzione, divorzio e affidamento dei figli. Tecniche e criteri della perizia e del trattamento, Giuffrè Editore, 1997

NOTE

1 Consulente Tecnico di Parte
2 Consulenza Tecnica d’Ufficio
3 Istituto Veneto di Terapia Familiare.
4 Particolarmente stimolanti in proposito sono i contributi offerti da Luca Pappalardo nella sua relazione al IV Congresso Internazionale dell’A.I.M.S. (2003).
5 Nel senso definito da Cigoli relativamente al transfert sulla Giustizia
6 Attualmente le formulazioni dei quesiti si sta modificando da una precedente impostazione, sostanzialmente collusiva con la logica del conflitto in atto, verso un approfondimento e una valutazione della qualità dei legami e delle relazioni familiari nell’ottica dell’interesse del minore. La presente relazione cerca di dare una risposta a quest’ultima modalità di impostazione della CTU stessa.
7 Si tratta di centri specializzati che forniscono risposte e servizi differenziati a quelle situazioni famigliari problematiche che a vario titolo siano connesse al contesto giuridico nelle sue molteplici sedi civili e penali.
8 Mi riferisco al modello di Consulenza in uso presso i Centri Co.Me.Te.. Vedi anche “Tecniche di mediazione i ambito peritale” di A. Mattuccci e L. Pappalardo in Maieutica n°15/16.
9 Si tratta di una tecnica proposta in ambito peritale da Cigoli, Galimberti e Mombelli, la cui consegna è la seguente: “Desidererei che vi rappresentaste come genitori e figli mentre state facendo qualcosa insieme. Potete prima parlarne e decidere cosa disegnare, oppure mettervi subito a disegnare. A disegno finito ne parleremo insieme”.
10 Si tratta di una lettura condotta secondo l'ottica sistemico-relazionale che, a partire da una rappresentazione grafica, permette di mettere in relazione almeno tre livelli generazionali della storia del soggetto, dove quest'ultimo si colloca all'ultimo piano generazionale.
11 Vittorio Cigoli, Contro l’enfasi della mediazione familiare, in Terapia Familiare n°72 luglio 2003.

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